Se l’economia cinese ha il raffreddore, l’Europa lo prende


L’effetto dei continui stop and go in Cina è stato stimato in 1,2 p.p. di PIL reale nel 2022 dal Fondo Monetario Internazionale, che ha tagliato le stime di crescita del Paese al +3,2% (dal 4,4% precedente), mentre per la Banca Mondiale l’economia si fermerà al +2,8%.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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PMI Chicago di dicembre in uscita oggi alle 15:45 (stima 40 punti contro 37,2 di novembre). Come noto l’indicatore evidenzia le opinioni sull'andamento dell'economia locale dei direttori d'acquisto di 200 aziende manifatturiere dell'area di Chicago, cuore industriale degli USA, incluso Illinois, Indiana e Michigan.

Ieri le richieste dei sussidi alla disoccupazione WoW sono risultati in linea con le attese e pari a 225k (in crescita rispetto a 216k della scorsa settimana). I mercati hanno reagito positivamente, rafforzando la convinzione che il prossimo 6 gennaio la disoccupazione possa crescere al 3,8% (dal 3,7% di novembre), dando così corpo alle affermazioni di Powell che indicava come possibili incrementi meno consistenti rispetto a quelli precedenti.

Che cosa sta accadendo in Cina? Posto che i dati che arrivano dalla Cina non sono così affidabili, quello che si sa è che sono passati da una politica Zero Covid ad una Covid Free i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti: contagi e morti alle stelle. Non è questo il luogo per indagarne i motivi. Quello che ci interessa è esaminare i risvolti economici della nuova ondata di pandemia sull’economia cinese.

L’effetto dei continui stop and go è stato stimato in 1,2 p.p. di PIL reale nel 2022 dal Fondo Monetario Internazionale, che ha tagliato le stime di crescita del Paese al +3,2% (dal 4,4% precedente), mentre per la Banca Mondiale l’economia si fermerà al +2,8%.

In una economia globalizzata, il rallentamento della domanda internazionale, dovuto in prevalenza agli effetti della guerra tra Russia a Ucraina, contribuisce a ridurre il sostegno all’attività economica dovuto all’export e all’import: il primo è atteso crescere solo del 2% e il secondo è previsto addirittura scendere dell’1,9%. Segnali questi di raffreddamento dell’economia del paese.

Se vogliamo trovare ulteriori conferme, basta guardare ai dati di sentiment nazionale. Dall’andamento del PMI relativo all’industria manifatturiera emerge come, a partire dal 2021, l’indice sia stabilmente inferiore al livello registrato dal secondo trimestre del 2020 (dopo l’allentamento delle misure restrittive), con una riduzione significativa nei mesi di aprile e maggio 2022. Inoltre, l’indice PMI riferito all’occupazione è rimasto stabilmente al di sotto della soglia di espansione di 50 punti da marzo 2021.

A risentire dei lockdown sono soprattutto i consumi privati, che l’Economist Intelligence Unit – EIU stima a crescita zero per il 2022, così come i lavoratori più giovani (il tasso di disoccupazione giovanile ha quasi raggiunto il 20%, contro il 5,3% complessivo).

L’aumento della percezione di un aumentato rischio ha spinto diversi investitori esteri a ritirare parte dei loro capitali: il solo mercato obbligazionario ha visto un deflusso di quasi 100 miliardi di dollari nei primi nove mesi del 2022 (fonte: Campos, China, equities weight as EM sees another month of outflows - IIF, Reuters, ottobre 2022).

Ma perché il mondo guarda con preoccupazione al rallentamento dell’economia cinese? Beh, intanto perché rappresenta quasi il 20% del PIL mondiale ed è responsabile di oltre un quinto della crescita globale, oltre ad essere il principale importatore di commodity con un volume tale da influenzarne il trend di prezzo.

In un contesto di minor crescita della Cina e delle altre economie asiatiche, anche parte delle esportazioni dell’Europa verso la regione potrebbe risentire del conseguente rallentamento della domanda di importazioni. Solo per l’Italia per esempio, attraverso la stima di una elasticità media del nostro export all’andamento del PIL dei mercati emergenti dell’area asiatica (pari a circa 1,1) e supponendo che nel 2021 la crescita cinese fosse stata minore dell’1%, avremmo perso poco più di 4 miliardi di euro di export.

Il punto è che mentre il rallentamento economico visto a partire dal 2020 può essere attribuito a cause comunque connesse alla pandemia, dall’analisi degli elementi strutturali che determinano la traiettoria della crescita economica di lungo periodo (demografia, processi di accumulazione di capitale e capacità di innovare) della Cina, è possibile sostenere che il suo rallentamento potrebbe diventare un fenomeno stabile nei prossimi anni.

Alcuni studi prevedono addirittura una convergenza verso tassi di crescita compresi tra il 2% e il 3% nel giro di vent’anni. Del resto, man mano che il PIL aumenta e l’economia si fa più matura, è impensabile continuare a crescere a doppia cifra, anche se hai potenzialmente un miliardo e mezzo di consumatori.

Se il tasso di crescita dell’economia cinese rallenta nel lungo periodo, le altre economie asiatiche dovrebbero però risentirne in misura più contenuta in virtù di un maggiore sviluppo dei sistemi produttivi di gran parte dei principali mercati emergenti della regione, che dovrebbe aumentarne l’indipendenza dalle sorti dell’economia cinese.

Ma non ci sono solo cattive notizie. Il governo Cinese sta lavorando da tempo allo sviluppo del mercato domestico, riducendo nel contempo la quantità di risorse destinate oltre confine. Questo potrebbe creare numerose opportunità per tutte quelle aziende Europee pronte a raccogliere la sfida in quelle regioni cinesi che tuttora risultano mercati di frontiera o sotto penetrati.

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