TIM, Tar annulla sanzioni per fatturazione a 28 giorni
Il Tar del Lazio ha annullato le sanzioni decise nel gennaio 2020 dall'Antitrust per un totale di 228 milioni di euro inflitte a Tim, Fastweb, Vodafone e WindTre. Le multe erano state decise a causa di un'intesa anticoncorrenziale legata al repricing effettuato con il ritorno alla fatturazione mensile.
I fatti
Il Tar, dunque, accoglie i ricorsi presentati dalle società telefoniche per contestare il provvedimento dell'11 aprile 2018 con il quale si confermavano le misure cautelari provvisorie adottate il mese prima, poi sfociato nel provvedimento del gennaio 2020, con il quale fu accertata l’intesa restrittiva e inflitte le sanzioni.
Nel 2015 Tim, Vodafone, WindTre e Fastweb modificarono il periodo di rinnovo e di fatturazione delle offerte ricaricabili per la telefonia mobile, cambiandolo da una cadenza mensile ad una di quattro settimane (28 giorni).
A quel punto, l'Agcom stabilì che il rinnovo e la fatturazione dei contratti di rete fissa debbano essere a cadenza mensile, mentre, per la telefonia mobile, la scadenza non può essere inferiore ai 28 giorni. Alla decisione dell'antritrust, però, le compagnie non si adeguarono, facendo scattare l'avvio dei procedimenti sanzionatori, ma si rivolsero al Tar.
In attesa della sentenza, fu adottato un provvedimento cautelare per intimare le compagnie a sospendere l'attuazione dell'intesa e la conferma della misura cautelare provvisoria fu seguita dal provvedimento sanzionatorio (14.756.250 euro a Fastweb; 114.398.325 euro a Telecom; 59.970.351 euro a Vodafone e 38.973.750 euro a Wind) contestato davanti al Tar.
La sentenza del Tribunale
Secondo la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale, “la delibera impugnata presenta un primo profilo di illogicità e di evidente difetto di istruttoria laddove desume e valorizza la asserita segretezza dall’intesa esclusivamente sulla base di un documento” che è “del tutto inutilizzabile, essendo esterno al perimetro temporale di svolgimento della presunta pratica concordata, così come definito dalla stessa Autorità: di talché la segretezza dell’intesa risulta del tutto indimostrata”.
Le considerazioni raccolte, spiega la sentenza, “al più, deporrebbero per l’individuazione di una pratica scorretta ai sensi del Codice del Consumo, i cui effetti lesivi si manifestano a danno dei consumatori ma che non sono idonee a sostenere l’esistenza di una pratica concordata fra gli operatori per mantenere fermo l’aumento al preciso scopo di evitare la fuoriuscita di clienti verso la concorrenza”.
Il Tar ha valutato la mancanza nel Provvedimento di elementi indiziari, gravi precisi e concordanti, tali da delineare un quadro sufficientemente chiaro”. Al contrario, è stata fornita “una spiegazione plausibile dei ricostruiti incontri e scambi di informazioni, alternativa a quella ricostruita dall’Agcm”.
La ricostruzione dell’Autorità, poi, “non fornisce evidenze istruttorie adeguate a contrastare la tesi delle Parti”, la cui spiegazione “in assenza di altri elementi esogeni più diretti e specifici, appare plausibile e, quindi, alternativa a quella, seguita dall’AGCM, volta alla ricognizione di un’intesa anticoncorrenziale”.
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