Trump e i dazi
Trump annuncia dazi contro Cina, Messico e Canada per fermare il fentanyl e l'immigrazione clandestina.
Oggi ci concentriamo più sulla macroeconomia, con un tema caldo: Donald Trump. Trump ha annunciato dazi contro Cina, Messico e Canada per contrastare il traffico di fentanil e l'immigrazione clandestina. Il fentanil è una droga estremamente pericolosa, i cui principi attivi si dice siano prodotti in Cina e poi assemblati in Messico, per essere distribuiti negli Stati Uniti. Nel 2023 ha causato 75.000 vittime, un dato che dimostra l'entità della crisi.
Trump propone dazi del 10% sulla Cina, che si aggiungerebbero a quelli già esistenti. Tuttavia, la notizia più allarmante per i mercati è il dazio del 25% su Messico e Canada, due partner chiave degli Stati Uniti nell'accordo di libero scambio. Questa mossa ha scosso i mercati, alimentando incertezze globali.
Il Peterson Institute ha stimato che un dazio universale del 10% potrebbe portare a un calo dello 0,9% del PIL statunitense entro il 2026 e a un aumento dell'inflazione dell'1,3%. In caso di ritorsioni da parte della Cina, il PIL USA potrebbe calare di un ulteriore 0,2%, con un'inflazione in aumento di un ulteriore 0,7%, per un totale del 2% oltre a quella attuale, già spaventosa. Questo avrebbe impatti concreti per le famiglie americane, con una spesa media annua incrementata di circa 800 dollari. Colpiti più di tutti saranno i settori legati all’abbigliamento, con un aumento stimato di 24 miliardi di dollari nei costi. Questo è particolarmente rilevante perché molte aziende italiane, anche se non quotate, esportano abbigliamento negli Stati Uniti e potrebbero risentire notevolmente di nuovi dazi.
Anche l’Europa potrebbe risentire di queste dinamiche. In passato, Trump aveva già imposto dazi su prodotti alimentari europei, colpendo soprattutto Italia e Francia. Inoltre, un aumento del 25% delle tariffe sulle importazioni dal Canada impatterebbe sui costi di petrolio e gas.
Gli Stati Uniti registrano i maggiori deficit commerciali (importano più beni di quanti ne esportano) con Cina (259 miliardi di dollari), Messico (204 miliardi) e Canada (128 miliardi). Per quanto riguarda l’Italia, il saldo è positivo per noi, con 45 miliardi di dollari derivanti dall'export. Tuttavia, il rischio di nuovi dazi potrebbe toccare settori strategici.
Le società italiane quotate in borsa più esposte al mercato statunitense includono Diasorin (52% dei ricavi), Fila (45%), Prysmian (42%), Tenaris (40%) e Stellantis (38%). Queste società potrebbero risentire degli effetti di nuovi dazi. Anche le aziende americane che producono in Messico ne risentiranno. Ad esempio nella giornata di martedì General Motors ha subito una perdita dell’8,85% in borsa, mentre Stellantis ha registrato un calo del 4,79% martedì.
Gli esperti sottolineano che l’Europa deve essere preparata. Un commento significativo arriva da Penny Naas, esperta di politica globale presso il German Marshall Fund: "A me sembra che questo sia il segnale di partenza di ciò che dovrebbero aspettarsi i Paesi Europei, in arrivo in un futuro non troppo lontano". L’euro si è portato ai minimi dal 2022, con i dazi che potrebbero ridurre la domanda di prodotti europei.
Abbiamo un commento del ministro degli Esteri tedesco, che afferma che la Germania è ben preparata alla possibilità di cambiamenti con una nuova amministrazione statunitense. George Saravelos di Deutsche Bank sottolinea che "i dazi sono chiaramente in cima all'agenda di Trump, vediamo un segnale implicito che saranno utilizzati come strumento economico e geopolitico di ampia portata in questa amministrazione".
È interessante notare la sottoperformance dello Stoxx Europe 600 rispetto all'S&P 500 dal 1987: l’indice europeo si è comportato peggio ogni anno, indipendentemente dalla presenza di dazi. Questo pone la questione dell’effetto macroeconomico. Il presidente della banca centrale francese e membro della BCE, François Villeroy de Galhau, ha dichiarato che l’impatto complessivo per l’Europa è limitato. Anche Joachim Nagel, presidente della Bundesbank, conferma che il vero impatto è sulle singole società, per cui servirà stare attenti alle società che esportano di più negli Stati Uniti.
I settori più colpiti da eventuali dazi sono l’abbigliamento e gli alimentari. Al contrario, il settore finanziario appare meno esposto, e l'export italiano verso gli Stati Uniti di materie prime è limitato. In generale quindi, per le società italiane, facciamo attenzione a Stellantis, ma per il resto possiamo stare abbastanza tranquilli.
Ieri (27 novembre) sono stati pubblicati dati sulle spese dei consumatori americani, in particolare i prezzi al consumo, fondamentali per monitorare l’inflazione. Questo dato è preferito dalla Federal Reserve rispetto ad altri indicatori poiché non include l’effetto degli "shelter" (abitazioni), spesso fuorviante. Gli esperti di Bloomberg si aspettano un dato in rialzo dello 0,28% sullo 0,25 precedente. Questo porterebbe l'inflazione al 2,8%, quindi sopra al 2,7 precedente e sopra il 2% fissato come obiettivo dalla Fed. A contribuire a questo incremento sono i costi dei servizi finanziari e assicurativi, che crescono con l’aumento dei tassi di interesse.
Negli Stati Uniti, il rallentamento della crescita salariale riflette un raffreddamento del mercato del lavoro, ma la disoccupazione rimane a livelli molto bassi. I dazi potrebbero paradossalmente favorire l’inflazione aumentando la domanda di manodopera locale: spostando la produzione in casa, le aziende avrebbero bisogno di più lavoratori, ma con una disponibilità ridotta, i salari salirebbero, generando un effetto inflattivo persistente.
In Europa, lo spread tra Francia e Germania ha raggiunto ieri i massimi dell'ultimo periodo, complicando l’approvazione della finanziaria francese.
La BCE sarà chiamata probabilmente a tagliare i tassi, viste le difficoltà dell'economia. Ci sono diversi rappresentanti della BCE, Panata in particolare e anche altri rappresentanti esteri che stanno spingendo per non essere più data depending, per non guardare più i dati giorno per giorno per decidere come saranno le politiche monetarie, ma guardiamo cosa sta succedendo all'economia.
L’economia tedesca mostra segnali di debolezza, con notizie di tagli di 11.000 posti di lavoro presso Thyssenkrupp. Questo si contrappone agli Stati Uniti, dove il problema principale rimane l’inflazione. Di conseguenza, le politiche monetarie della Fed e della BCE stanno seguendo traiettorie opposte.
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