USA: al di la del breve periodo, mega forze spingono l'inflazione


La tendenza demografica e il tasso di partecipazione al lavoro spingono l’inflazione.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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CPI USA YoY di marzo in uscita oggi alle 14:30 (stima 3.4% contro 3.2% di febbraio). Il dato è particolarmente importante, soprattutto letto alla luce del PPI in uscita domani, per cercare di capire se le dichiarazioni di Powell che indicavano come transitoria la crescita dei prezzi, potranno avere un seguito nella politica monetaria. In altre parole, se in qualche modo sono in grado di sostenere tre tagli dei tassi indicati dal FOMC.

Da nostro punto di vista, continuiamo a credere che i dati USA indichino che siamo in una fase avanzata del ciclo economico, il che probabilmente spingerà la Fed a riflettere sul taglio dei tassi il prima possibile. Tuttavia, la crescita dei salari continua a rimanere bloccata nella fascia bassa del 4% e questo è superiore al livello di comfort della Fed, pari al 3-3,5%.

Anche per questo motivo, la disinflazione sembra che si sia arrestata e alcuni dati anticipatori indicano che potrebbe aumentare nuovamente. Come abbiamo più volte messo in luce, l’ultima tappa della lotta all’inflazione è spesso la più difficile da superare. La domanda diventa quindi se la Fed taglierà i tassi in questo contesto? Anche perché più a lungo i tassi rimangono elevati, più si fanno strada nell’economia e aumentano la probabilità di una recessione.

Partiamo come sempre dai dati. I prezzi manifatturieri stanno aumentando con la ripresa dei nuovi ordini in un contesto di crescita del settore: gli ultimi dati di ISM mostrano che il settore manifatturiero è ora in territorio di crescita per la prima volta in 16 mesi. La lettura di marzo è in rialzo di 2,5 punti, a 50,3 rispetto alla lettura di febbraio di 47,8 (come noto, una lettura pari o superiore a 50 indica espansione).

Il valore dei nuovi ordini è stato pari a 51,4 punti, in aumento di 2,2 punti rispetto a febbraio. Ma il portafoglio ordini continua ad essere in territorio di contrazione, con il dato di marzo stabile a 46,3. Le scorte rimangono basse e si stanno assottigliando, con le scorte dei clienti che ammontano a 44 punti.

Mentre l'industria manifatturiera ha iniziato a riprendersi, anche i prezzi dei materiali crescono (l'ultima lettura si attesta al 55,8%, in aumento rispetto al 52,5% di febbraio). In particolare, quattro delle sei industrie più grandi hanno riferito di aver pagato prezzi più alti. In totale, 11 delle 18 industrie coinvolte nell’indagine hanno riferito di aver pagato prezzi più alti. Si tratta della quota più alta di settori che segnalano prezzi più elevati da luglio 2022, suggerendo che le pressioni inflazionistiche potrebbero continuare, rischiando di ampliarsi nel settore dei beni dell’economia.

Inizialmente i prezzi dei beni hanno guidato il processo disinflazionistico complessivo poiché gli aumenti si sono spostati verso il settore dei servizi. Con l’inflazione del settore dei servizi che rimane ostinatamente elevata, questo rapporto suggerisce che potremmo assistere ad un certo rinvigorimento anche nel settore manifatturiero che potrebbe esercitare un’ulteriore pressione al rialzo sull’inflazione complessiva. Sarà importante vigilare, poiché l’aumento della domanda da questo lato dell’economia potrebbe rallentare o addirittura invertire la tendenza al calo dell’inflazione dei beni.

Crediamo inoltre che ci siano altre forze in campo che spingano per una crescita dei prezzi che si mantenga sostenuta. Fra tutte la tendenza demografica, ben rappresentata dal tasso di partecipazione al lavoro, in chiara tendenza discendente (vedi grafico). In crescita dagli anni ’60 fino al 2000, dove aveva toccato il picco al 67,3%, da allora è scesa costantemente fino a toccare il 62.7% lo scorso marzo.

L’aspettativa di vita sta aumentando e i tassi di natalità stanno diminuendo in tutto il mondo. In molti paesi sviluppati ciò significa che la popolazione in età lavorativa è destinata a ridursi nei prossimi anni.

Tasso di partecipazione della forza lavoro

Fonte: U.S. Bureau of Labor Statistics

E questo non può non avere vaste implicazioni macroeconomiche. Meno lavoratori significano una crescita più lenta e, a nostro avviso è anche inflazionistica. I pensionati smettono di produrre output economico, ma in genere non spendono meno, come mostrano i dati storici. Inoltre, è probabile che i governi spendano di più per l’assistenza sanitaria e le pensioni.

Le conseguenti pressioni inflazionistiche che queste tendenze sono in grado di generare, sono alcuni dei motivi per i quali prevediamo che i tassi ufficiali delle banche centrali rimangano al di sopra dei livelli pre-pandemia.

La spesa legata all’invecchiamento minaccia inoltre di far salire il debito pubblico, che è già triplicato dalla metà degli anni ’70 fino a raggiungere il 92% del PIL globale nel 2022. E quel debito è facile intuire che sarà probabilmente soggetto a costi di interesse più elevati. Le popolazioni in crescita consumano più energia, quindi prevediamo un aumento della spesa per le infrastrutture energetiche.

Non siamo del tutto convinti che i mercati abbiamo compreso appieno l’impatto settoriale dei grandi cambiamenti strutturali che guideranno i rendimenti nei prossimi anni. Come dicevamo le popolazioni più anziane per esempio spendono in modo diverso rispetto a quelle più giovani. La domanda immobiliare potrebbe cambiare poiché gli anziani in genere si spostano meno frequentemente.

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