USA: verso la stagnazione della piena occupazione? E la FED e i mercati?


Gli investitori cercano di bilanciare la crescita economica con tassi più alti più a lungo.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Serie di dati USA in uscita oggi alle 14:30: richieste di sussidi settimanali alla disoccupazione (stima 213k contro 209k della scorsa settimana), PhillyFed di ottobre (-6,8 punti contro -13,5 punti di settembre).

Ieri l’inflazione UK YoY di settembre è risultata leggermente superiore alle attese (6,7% contro 6,6% atteso e 6,7% di agosto). In linea con le aspettative è invece risultata l’inflazione dell’Europa di settembre, pari al 4,3% (5,2% in agosto),

Nelle scorse settimane le azioni sono salite leggermente, grazie alla leggera flessione dei rendimenti obbligazionari e ai primi risultati degli utili generalmente positivi di una manciata di banche. I guadagni hanno segnato la seconda settimana consecutiva di rendimenti positivi per l’S&P 500 mentre gli investitori continuano a cercare di bilanciare gli attuali dati economici che hanno mostrato una resilienza inaspettata a fronte di un ciclo di 19 mesi di rialzi dei tassi, contro i rischi di mantenimento dei tassi da parte della FED più in alto per più tempo.

Sebbene l’inflazione sia scesa significativamente rispetto ai massimi dello scorso anno, il percorso verso ulteriori cali potrebbe essere più impegnativo, a meno che il mercato del lavoro non si indebolisca e/o le pressioni salariali non si allentino. In altre parole, è possibile che la FED consideri l’attuale livello di crescita salariale come incompatibile con il suo obiettivo di aumento dei prezzi su base annua. E i dati pubblicati la scorsa settimana, pur in presenza di una dinamica favorevole, probabilmente hanno riaffermato tali preoccupazioni.

Le richieste di sussidi di disoccupazione sono rimaste sostanzialmente stabili: le richieste di sussidi settimanali sono state 209.000, invariate rispetto al dato rivisto al rialzo della scorsa settimana. La media mobile di quattro settimane delle nuove richieste di sussidio di disoccupazione è stata pari a 206.250, in calo di 3.000 rispetto alla media rivista della settimana precedente. Le richieste continuative (quelle persone che restano a percepire l'indennità di disoccupazione) sono state 1,7 milioni, con un aumento di 30.000 rispetto alla settimana precedente.

L’inflazione core (che guarda la FED) della rilevazione di settembre, che esclude la volatilità dei prezzi di cibo e gas, è aumentato dello 0,3% a settembre, eguagliando il tasso di agosto. Su base annua il valore core è stato pari al 4,1%, in calo dello 0,2% rispetto al livello del 4,3% registrato ad agosto. L’ultimo dato anno su anno segna il più lento aumento dal settembre 2021. La buona notizia è che se si rimuove l’impatto ritardato delle abitazioni: sia l’Inflazione complessiva escluse le abitazioni sia quella core escluse le abitazioni sono aumentate del 2% su base annua. Quello che potrebbe rappresentare un ostacolo ad ulteriori progressi verso l’obiettivo di inflazione del 2%, è proprio la crescita dei salari che potrebbe riaccendere le pressioni inflazionistiche.

E in questo scenario, i consumatori si aspettano un’inflazione più elevata nel breve termine: la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan è scesa a 63 in ottobre, in calo di 5,1 punti rispetto al valore finale di settembre di 68,1. Il calo dell’ottimismo ha coinciso con un aumento delle aspettative di inflazione, con gli intervistati che si aspettano che i prezzi aumentino del 3,8% nel 2024 (a fine settembre, lo stesso dato era del 3,2%), probabilmente derivanti dall’impennata dei prezzi dell’energia. Le aspettative di inflazione a lungo termine, che riteniamo più significative, sono salite al 3%, in aumento rispetto al 2,8% del mese precedente, ma ancora ben all’interno del ristretto range del 2,8-3,1% negli ultimi 27 mesi.

Gli USA stanno attraversando due grandi shock senza precedenti:

  • il primo: un massiccio spostamento della spesa dei consumatori, in parte indotto dalla pandemia e più visibile dai servizi ai beni, che ha creato un disallineamento tra ciò che l’economia era impostata per produrre e ciò che le persone volevano acquistare;
  • il secondo: una carenza di lavoratori poiché i baby boomer stanno invecchiano fino alla pensione.

Questo ci porta a sostenere che potremmo essere pronti per una “stagnazione della piena occupazione”. La maggior parte dell’inflazione e della crescita salariale che abbiamo osservato finora riflette il disallineamento associato alla pandemia. Ora la situazione si sta invertendo e l’inflazione è destinata a scendere ulteriormente.

Ma una volta terminato il processo di risoluzione del disallineamento e iniziando a farsi sentire la carenza di manodopera, prevediamo che l’inflazione possa riprendere a salire, aumentando nuovamente forse già a partire nel 2024. Una forza lavoro più piccola significa che il tasso di crescita che l’economia sarà in grado di sostenere senza una ripresa dell’inflazione potrebbe essere inferiore rispetto al passato (il condizionale è d’obbligo visti i sempre forti investimenti in tecnologia che aumentano la produttività).

Ma un aumento della produttività che passi dagli investimenti necessita di tempi non brevi. E’ possibile quindi che le banche centrali siano costrette a mantenere una politica restrittiva per contrastare le pressioni inflazionistiche. In questo contesto ci tornano anche i tassi alti più a lungo. Ovviamente questo contesto non è favorevole per i rendimenti di numerose asset class, e segna una rottura rispetto ai quattro decenni di crescita costante e inflazione noti come la Grande Moderazione.

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