Washington preoccupa, ma l’America resta il motore della crescita

10/10/2025 06:00
Washington preoccupa, ma l’America resta il motore della crescita

La percezione negativa proveniente da Washington è in cima ai pensieri degli investitori ed è probabilmente tra gli argomenti di cui parlano più spesso.

Occorre ricordare agli investitori che, pur essendo il settore pubblico un ingranaggio critico dell’economia, il motore principale della crescita economica negli Stati Uniti poggia sulle spalle del settore privato che rappresenta circa l’83% del PIL

Infine, non scrivete il necrologio del dollaro USA. Secondo molti commenti di mercato ad aprile il dollaro era destinato a soccombere a causa delle politiche protezionistiche e isolazioniste dell’amministrazione Trump. Niente di più lontano dalla realtà, visto che ad aprile 2025 oltre l’89% di tutte le transazioni è avvenuta in dollari

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM

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Produzione industriale dell’Italia MoM di agosto in uscita oggi alle 10:00 (stima -0,3% contro +0,4% di luglio) e fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di ottobre alle 16:00 (stima 54,6 punti contro 55,1 punti di settembre).

Diversamente dallo scorso anno in cui le mosse della Fed erano l’argomento del giorno, oggi la percezione negativa proveniente da Washington è in cima ai pensieri degli investitori ed è probabilmente tra gli argomenti di cui parlano più spesso. Dazi, deficit di bilancio, indipendenza della Fed, geopolitica, immigrazione e ora la chiusura del governo. Diciamolo, non manca certo la lista di temi caldi che provengono dalla capitale.

Detto ciò, e con le luci spente a Washington, riteniamo sia un buon momento per ricordare agli investitori che, pur essendo il settore pubblico un ingranaggio critico dell’economia, il motore principale della crescita economica negli Stati Uniti poggia sulle spalle del settore privato. Quest’ultimo rappresenta circa l’83% del PIL statunitense, all’incirca l’85% dell’occupazione complessiva negli USA e una percentuale analoga del totale dei salari e delle retribuzioni dei lavoratori statunitensi. È il settore privato a creare posti di lavoro e reddito, a sostenere gli investimenti in capitale e a guidare l’innovazione tecnologica, tutti elementi che supportano e rafforzano la competitività globale dell’America.

Certo, un settore pubblico funzionante, piuttosto che disfunzionale, è un ingrediente essenziale per la crescita economica (in Italia ne sappiamo qualcosa). Tuttavia, alla fine, gli investitori devono saper vedere attraverso la miscela tossica della chiusura del governo e rendersi conto che nessuna economia al mondo è tanto resiliente, dinamica e diversificata quanto quella statunitense e quindi la meglio posizionata per assorbire shock esogeni o improvvise turbolenze di policy, come appunto lo shutdown del governo.

Del resto, i mercati ce lo stanno ricordando e di fatto testimoniano la resilienza dell’azionario USA quest’anno, in particolare dell’S&P 500. La rimonta di quest’ultimo dal minimo dell’8 aprile è stata nulla di meno che sbalorditiva rispetto alle norme storiche. In effetti, il rally attuale è il quarto più forte della storia, con l’aumento nel terzo trimestre dell’S&P 500 (+7,8%) tra i più robusti degli ultimi 50 anni. Tra i minimi di aprile e la fine di settembre, l’S&P 500 è salito del 34%, un rimbalzo sostenuto da una serie di fattori, tra cui dazi statunitensi inferiori al temuto, un boom degli investimenti in conto capitale (si pensi ai data center) finanziato dalle mega-società tecnologiche statunitensi, la solida spesa dei consumatori, politiche pro-crescita sul fronte fiscale e monetario e un dollaro statunitense più debole.

È in questo contesto che la crescita economica e gli utili statunitensi hanno tenuto molto meglio del previsto. L’economia è cresciuta a un ritmo del 3,8% nel secondo trimestre, molto più forte del previsto, mentre il tracker della Fed di Atlanta per la crescita reale nel terzo trimestre si aggira attualmente anch’esso intorno al 3,8%. Nel frattempo, gli utili del secondo trimestre hanno sorpreso al rialzo (+12% YoY), con espansione dei margini e revisioni al rialzo. Dinamiche simili sono attese anche nel terzo trimestre, con il consenso che prevede una crescita degli utili dell’8% su base annua.

I bilanci societari sono inoltre piuttosto solidi grazie alla combinazione di maggiore liquidità disponibile, minore ricorso al debito nel corso dell’ultimo decennio e margini di profitto elevati, insieme alle agevolazioni per gli ammortamenti del capitale previste dall’OBBBA. Aggiungendo le svolte in termini di produttività offerte da intelligenza artificiale, cloud computing, robotica e attività affini di tipo automatizzato, si ottengono gli ingredienti per ulteriori rialzi degli utili e dell’azionario USA. A dare ulteriore impulso: condizioni finanziarie più accomodanti e lo stimolo fiscale dell’OBBBA.

Esistono comunque potenziali venti contrari alla rimonta in atto. Tra questi ci preme sottolineare le valutazioni attuali che sono piuttosto impegnative, un mercato del lavoro più debole del previsto che potrebbe far emergere timori di rallentamento della crescita, e letture dell’inflazione superiori alle attese che potrebbero creare problemi alla Fed. Ciascuno di questi fattori potrebbe innescare un ritracciamento di mercato nel breve termine, che vedremmo come un’opportunità per aumentare l’esposizione all’azionario USA.

Infine, non scrivete il necrologio del dollaro USA. Secondo molti commenti di mercato ad aprile il dollaro era destinato a soccombere a causa delle politiche protezionistiche e isolazioniste dell’amministrazione Trump. Niente di più lontano dalla realtà. Il ruolo dominante del dollaro nell’economia globale è in realtà aumentato quest’anno sulla base degli ultimi dati della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI).

Secondo la BRI, infatti il turnover giornaliero del mercato valutario ha raggiunto l’impressionante cifra di 9,6 trilioni di dollari nell’aprile 2025, sulla scia dell’elevata volatilità dei cambi e dell’impennata dei volumi di scambio dopo l’introduzione dei dazi statunitensi. Ancora più sorprendente, il dollaro USA è stato utilizzato per l’89,2% di tutte le transazioni nell’aprile 2025, in aumento dall’88,4% del 2022. La quota dell’euro e della sterlina è diminuita nello stesso periodo, mentre quella dello yen è rimasta stabile. Il renminbi cinese e il franco svizzero hanno guadagnato quote di mercato, ma sono rimasti lontani anni luce dal ruolo dominante del biglietto verde. Difficile quindi per gli investitori scommettere contro il dollaro USA o l’azionario statunitense alla luce di questi dati.

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