Dazi, il 9 luglio lo stop della pausa. Ecco cosa potrebbe accadere

Scatta il conto alla rovescia per la fine della pausa sui dazi: dall’alba del 9 luglio le tariffe doganali tornano a correre, con aliquote fino al 50% che metteranno sotto pressione commerci, alleanze strategiche e catene di fornitura globali. Accordi lampo, deroghe temporanee e la minaccia di un nuovo braccio di ferro tra Stati Uniti, Europa, Cina e Canada delineano settimane di incertezza e negoziati serrati.
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Il 9 luglio finisce la pausa voluta da Trump
Quando a Washington scatteranno le 00:01 del 9 luglio, finirà ufficialmente la pausa decisa da Trump sui dazi reciproci, riportando le aliquote fra l’11% e il 50% su diversi Paesi del mondo. Il team Macroeconomisti di ING spiega che l’unico modo per evitare la stretta sarà stipulare accordi commerciali formali, come quello già siglato tra USA e UK, o intese di alto livello come nel caso della Cina. Restano però forti incertezze: le promesse di Trump di inviare proposte “da prendere o lasciare” sono rimaste sospese. I mercati si interrogano se le aliquote torneranno all’intervallo annunciato il 2 aprile o se arriveranno proroghe in caso di negoziati “in buona fede”.
A una settimana dalla fine della tregua di 90 giorni, l’istantanea di ING avverte: molto può cambiare all’ultimo momento. Oggi, ad esempio, la tariffa universale IEEPA è fissata al 10%, mentre auto e ricambi auto pagano già un 25%, così come acciaio e alluminio, con un picco del 50% per alcune derivazioni metalliche. Per la Cina la pressione resta altissima: un dazio base del 30% e un’aliquota effettiva che può arrivare al 55%, compresa l’eliminazione della regola de minimis. Il Canada e il Messico applicano già un 25% sui beni non conformi all’USMCA. E il tempo per nuovi accordi stringe.
Accordi e negoziati tra passi avanti e tensioni
Nelle ultime settimane, come ricorda ING, si sono susseguite notizie di intese quasi concluse e negoziati in stallo. Con non più di dieci partner commerciali di peso ancora sul tavolo, la corsa contro il tempo è aperta. Gli Stati colpiti puntano a prolungare le esenzioni oltre il 9 luglio. Tra gli esempi più rilevanti c’è la Cina: gli USA hanno finalizzato un accordo chiave per garantire l’esportazione di minerali di terre rare in cambio della revoca di alcune contromisure di Pechino. I dettagli sono riservati, segno di quanto la partita resti delicata sul piano geopolitico.
Nonostante questa de-escalation, sottolinea ING, l’aliquota effettiva sulle merci cinesi resta altissima e restano le contromisure anti-dumping. Pechino, intanto, mostra irritazione verso altri Paesi che firmano accordi con Washington, ritenendoli dannosi per i propri interessi. L’Unione Europea rischia un aumento dei dazi al 50% se non si raggiungerà un accordo: l’UE potrebbe rispondere dal 14 luglio. Tra i nodi critici ci sono le barriere non tariffarie, come il Digital Markets Act e il Carbon Border Adjustment Mechanism. Alcuni report, citati da ING, ipotizzano aperture di Bruxelles per concessioni settoriali in cambio di esenzioni su automotive, acciaio, farmaci e semiconduttori.
In Nord America, dopo lo scontro sulla tassa canadese sui servizi digitali, il Canada ha fatto marcia indietro e ha riaperto i colloqui. Mark Carney, primo ministro canadese, ha ritirato la Digital Services Tax retroattiva al 2022. Per questo il Canada si è già assicurato una proroga fino al 21 luglio, in linea con lo scenario di base di ING, che non prevede chiusure definitive prima del 9 luglio.
Protezionismo USA ancora al centro della strategia
Il team Macroeconomisti di ING lo ribadisce: la posizione americana non mira alla reciprocità totale. Il gettito dai dazi serve anche a finanziare parte del Big Beautiful Bill Act, come confermato dal Segretario al Commercio Howard Lutnick. Lo stesso Project 2025 mostra come dazi speculari siano ritenuti più efficaci di tagli reciproci per ridurre il deficit commerciale.
Secondo ING, l’attuale aliquota media del 13% difficilmente cambierà nel 2025. Il protezionismo resta una linea guida, pur senza spingersi ai picchi visti ad aprile. La tariffa di base del 10% dovrebbe restare intatta, mentre nuovi rialzi mirati potrebbero arrivare nel terzo e quarto trimestre, specie dopo le indagini Sezione 232 e 301. Rame, legname, minerali critici, farmaci, semiconduttori e costruzioni navali sono i settori più esposti. Le automobili, l’alluminio e l’acciaio pagano già tariffe significative. Risultato: l’aliquota media statunitense resterà tra il 12% e il 15%, mentre l’UE continuerà a fronteggiare dazi intorno al 10-15% e la Cina resterà sull’orlo del 50%.
Geopolitica e scenari futuri tra alleanze e rischi legali
Nonostante i progressi negli accordi, avverte ING, la riorganizzazione dei flussi commerciali è tutt’altro che conclusa. Con il Canada che ha introdotto un nuovo contingente tariffario sulle importazioni di acciaio da Paesi non firmatari di ALS, reindirizzare le merci diventa più complesso. La Cina continua a esprimere forte malcontento per gli accordi di altri Stati con Washington, definendo la strategia americana di tariffe reciproche un “bullismo unilaterale” che mina l’ordine commerciale globale.
Per ING, la strategia tariffaria USA potrebbe isolare Pechino, con alleati costretti a fare concessioni pesanti pur di salvaguardare i rapporti con Washington. Intanto, molti Paesi restano dipendenti dalle materie prime cinesi, come dimostra la flessibilità di Pechino nel limitare l’export di terre rare.
Resta poi un nodo legale aperto: il 31 luglio la Corte per il Commercio Internazionale degli Stati Uniti si pronuncerà sui dazi IEEPA. La Corte d’Appello ha sospeso una sentenza contraria a Trump, lasciando in vigore i dazi. Una decisione definitiva potrebbe arrivare ad agosto e, come evidenzia ING, se la Corte Suprema confermasse la limitazione delle ingiunzioni universali, solo i ricorrenti diretti ne trarrebbero beneficio. Un passaggio tecnico che potrebbe allungare i tempi per chi spera in un risarcimento più ampio.
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