Eurobond: cosa sono e perché fanno tanto discutere


Cosa sono gli Eurobond, chiesti da paesi come Italia, Francia e Spagna, e perché i paesi nordeuropei non ne vogliono sapere e rimangono stabili sulle loro posizioni contrarie.


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I Titoli di Stato Europei

“Eurobond” è uno di quei termini che divide in due l’Unione Europea, creando speranze da una parte, e barricate dall’altra. Il progetto è uno dei più ambiziosi nella storia dell’integrazione europea, e proprio per questo suscita non poche discussioni.

Con Eurobond si intendono titoli di debito emessi in «comune» all’interno dell’area euro e tramite i quali tutti gli Stati membri dell’UE diventano responsabili del debito in maniera congiunta: se uno Stato non dovesse riuscire a ripagare il proprio debito gli altri membri dell’UE interverrebbero in suo aiuto.

Con gli Eurobond, ogni paese cederebbe il controllo dell’emissione dei titoli di Stato a un ente comune e a garanzia di rimborso non ci sarebbe più la solidità di un singolo stato, ma di tutti i paesi dell’euro. Per i meno esperti di finanza pubblica può servire fare un passo indietro e capire cosa sono le obbligazioni (a volte chiamate con il termine inglese “bond”) .

L’obiettivo degli eurobond è raccogliere fondi per finanziare progetti comuni o per fornire maggiore stabilità finanziaria ai Paesi più in difficoltà dell'Eurozona così da aumentare la loro stabilità, potenziare le infrastrutture e finanziare i servizi ai cittadini, le pensioni, gli investimenti e le spese correnti. Non è difficile immaginare perché quindi gli eurobond sono sostenuti, per non dire richiesti con insistenza, dai governi di quasi tutti i paesi dell’Europa meridionale, dalla Francia all’Italia, dal Portogallo alla Grecia.

Spread, rendimenti e affidabilità

Un concetto che molto probabilmente non ha bisogno di presentazioni è quello dello “spread“, cioè la differenza (misurata in centesimi di punto percentuale) tra quanto rendono i titoli di stato decennali di un certo paese (nel caso dell’Italia, i BTp) e i corrispondenti titoli tedeschi Bund.

Semplificando, se il rendimento è basso l’investimento è sicuro; se invece è alto, significa che, al contrario, il prestatore non è considerato così affidabile.

Ne consegue che un Paese come l’Italia, con il suo bagaglio di debito pubblico e il debole ritmo di crescita economica, è destinato ad alzare il rendimento (e con esso gli interessi che dovrà versare agli investitori) per rendere più appetibile le proprio obbligazioni, rispetto a un Paese con un bilancio meno pesante e un’economia più florida. Indebitarsi, in buona sostanza, per chi ha un debito già alto, costa di più.

Un titolo emesso e garantito dall’intera zona euro appianerebbe questa differenza e il suo prezzo si avvicinerebbe in teoria più a quello del benchmark tedesco Bund che a quello emesso, ad esempio, dall’Italia, proprio perché a garantire sarebbe l’intera area euro. Questo permetterebbe di abbassare il tasso di interesse attualmente pagato dai singoli paesi più deboli della zona euro.

Gli ostacoli agli Eurobond

L’opzione eurobond è controversa e forte opposizione arriva dai governi dei paesi più ricchi del centro e del Nord Europa: Germania, prima di tutti, ma anche Austria, Paesi Bassi e Finlandia. I paesi più virtuosi temono di dover finanziare i deficit di altri Paesi con conti pubblici più disastrati (Italia in primis), senza avere alcun controllo su come vengono utilizzati i fondi. Ad esempio un Paese potrebbe decidere di approfittarne per adottare comportamenti economicamente irresponsabili e sconsiderati, oppure potrebbe essere vicino alla bancarotta, e a quel punto sarebbero i Paesi più solidi e affidabili a dover ripagare il debito.

Dal 2011 fino ad oggi

Di Eurobond se ne parlò per la prima volta nel 2011, con la grande crisi dell’Eurozona: la Commissione Europea presieduta dal portoghese José Manuel Barroso formulò la prima proposta concreta per l’introduzione degli “eurobond”. Questi titoli di stato europei avrebbero ridotto drasticamente il rischio di una crisi sovrana, perché a garantire il debito non ci sarebbe stato solo il Paese insolvente, ma tutti gli stati appartenenti all’Unione Europea.

Si è poi tornato a parlarne con l’arrivo della pandemia da coronavirus, quando furono ipotizzati i coronabond per finanziare le misure messe in atto per contrastare l’epidemia e i suoi effetti devastanti sulle economie. Il complicato dibattito è sfociato alla fine nel programma SURE, parola che sintetizza lo "State sUpported shoRt-timE work", un fondo con cui nel 2020 la Commissione ha previsto l'erogazione di prestiti a condizioni favorevoli agli Stati membri costretti a mobilitare risorse per preservare l'occupazione a rischio a causa della crisi provocata dalla pandemia da Covid-19. Seppur con una dotazione massima di 100 miliardi, il SURE costituisce un passo importante per l'architettura economica dell’Unione.

Il dibattito si è riacceso dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, quando si sono ipotizzati gli Eurobond energia e difesa per finanziare le maggiori spese dovute alla riforma della difesa e delle infrastrutture energetiche a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina.

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