Fed: taglio difensivo da 25 punti base, Powell cambia i toni

18/09/2025 12:00
Fed: taglio difensivo da 25 punti base, Powell cambia i toni

Il primo taglio dei tassi del 2025 da parte della Fed ha acceso grandi aspettative sui mercati, che hanno inizialmente accolto la mossa con entusiasmo salvo poi ripiegare di fronte a un messaggio meno accomodante del previsto. L’intervento della banca centrale non ha inaugurato un ciclo espansivo, ma ha rappresentato piuttosto una manovra di gestione del rischio, pensata per difendere l’occupazione senza compromettere la credibilità sulla stabilità dei prezzi.

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Prima, durante e dopo

Il primo taglio dei tassi del 2025 da parte della Federal Reserve (Fed) si è materializzato, ma il mercato non l’ha vissuto come un capitolo unico. Gabriel Debach, market analyst di eToro, ricostruisce l’esito della riunione di ieri partendo dal clima che l’ha preceduta: un “prima” dominato da aspettative elevate e tensioni geopolitiche, un “durante” segnato dall’euforia del taglio e dal sollievo iniziale su azioni, bond e dollaro, e un “dopo” che ha riportato i listini con i piedi per terra. Il reversal dei mercati azionari, l’inversione dei rendimenti, il recupero del biglietto verde e la delusione per una Fed meno dovish del previsto hanno chiuso la seduta con un messaggio chiaro: non è iniziato un ciclo espansivo, è stato un intervento prudenziale.

I numeri lo raccontano bene. L’S&P 500 ha chiuso a -0,1% (terza riunione Fed consecutiva in flessione), il Nasdaq a -0,2%, mentre Dow Jones (+0,6%) e Russell 2000 (+0,2%) hanno tenuto. Il Russell, intraday, ha addirittura superato i massimi storici di novembre 2021, salvo poi arretrare e chiudere appena sotto quella soglia.

Questa divergenza, secondo Debach, non è questione di ampiezza ma di peso. Ieri 288 titoli dell’S&P 500 sono saliti contro 213 in calo: non è mancato il mercato, sono mancati i big. Non a caso l’S&P 500 equiponderato ha chiuso leggermente positivo (+0,1%). La fotografia dell’ultima ora di scambi è stata dominata da Nvidia: con un peso del 7,7% nell’indice, ha trascinato al ribasso il listino dopo le notizie da Pechino che le autorità cinesi avrebbero invitato le big tech domestiche a non acquistare chip AI americani. L’effetto è stato immediato: sell-off sui semiconduttori (oltre il 13% dell’S&P 500) e correzione amplificata dalla concentrazione. L’esercizio controfattuale è eloquente: senza Nvidia, l’S&P 500 avrebbe chiuso in positivo (+0,1% invece di -0,1% sull’ETF VOO); senza l’intero comparto semiconduttori, +0,2%.

La decisione e il cambio di linguaggio

Ieri a Fed ha optato per un taglio di 25 punti base, portando i Fed Funds nel corridoio 4,00–4,25%. Il dissenso è stato uno solo: Stephen Miran, nuovo membro del Board, avrebbe preferito -50 bps. Come spiega Debach, non è tanto la misura a fare notizia, quanto la cornice: nuove proiezioni macro e dot plot delineano un tono più cauto ma non accomodante.

La differenza con luglio è netta. Allora Jerome Powell parlava di un’economia “solida” e di un mercato del lavoro “in equilibrio”. A settembre la narrativa si ribalta: il lavoro “non può più essere definito molto solido”, la crescita dei posti si è fermata, i rischi si spostano al ribasso sull’occupazione e al rialzo sull’inflazione. Lo statement condensa il punto in una frase inedita: “downside risks to employment have risen”. È la chiave della riunione, sottolinea Debach: non un taglio per stimolare, ma un passo difensivo per proteggere il lato più fragile del dual mandate.

I sette messaggi della conferenza di Powell

La conferenza stampa ha rivelato l’architettura della decisione. Powell non si è limitato a difendere il taglio da 25 punti base: ha stratificato priorità, rischi e fragilità in sette messaggi chiave, che eToro mette a fuoco.

Indipendenza. Dopo l’ingresso di Stephen Miran, percepito come vicino all’amministrazione, Powell ha ribadito che nel Board contano “argomenti basati sui dati” e che un singolo voto contrario non intacca la collegialità. Messaggio ai mercati: il taglio non è politico, ma esito di un bilanciamento tecnico tra rischi d’inflazione e occupazione.

Tariffe. L’aumento dei prezzi dei beni riflette i nuovi dazi, ma il pass-through ai consumatori è stato più lento e più contenuto del previsto. La pressione si accumula “a monte” (importatori, grossisti, produttori) con il rischio di scaricarsi gradualmente nei prossimi trimestri e alimentare un’inflazione più ostinata di quella incorporata nelle proiezioni.

Mercato del lavoro. Il quadro è “inquieto”. La domanda è scesa e anche l’offerta si è raffreddata, complice il rallentamento dell’immigrazione e della partecipazione. Ne esce un “curious balance”: disoccupazione al 4,3% con payrolls medi a 29 mila, sotto il break-even che stabilizzerebbe il tasso di disoccupazione. Powell ammette che le componenti più vulnerabili (giovani e minoranze) stanno soffrendo di più.

Qualità dei dati. Tema tecnico ma decisivo: i response rates dei primi rilevamenti sono calati, rendendo le stime più volatili e soggette a forti revisioni. I primi numeri sui payroll tendono a sovrastimare la tenuta e poi vengono rivisti al ribasso. Per Powell, i benchmark indicano che il lavoro era già più debole entrando nel 2025. Traduzione: la Fed ha mantenuto restrizione in primavera perché i dati ufficiali raccontavano una robustezza apparente.

AI e investimenti. A reggere la crescita è il capex in intangibili e intelligenza artificiale. Non un elogio, precisa Powell, ma la constatazione che una quota inusuale della resilienza del PIL viene da investimenti e produttività, mentre i consumi rallentano e si polarizzano sulle fasce di reddito più alte. Crescita “di capitale”, non di domanda diffusa.

Rischi bilanciati. Perché non 50 bps? Le mosse “forti” servono nei cambi di stance urgenti; oggi i rischi sono “più bilanciati”: tilt al rialzo sull’inflazione di breve e al ribasso sull’occupazione. Da qui la gradualità da 25 bps, coerente con il nuovo dot plot.

Aspettative. Il vero ancoraggio restano le aspettative: quelle di breve si sono alzate con i dazi, quelle di lungo restano vicine al 2%. Finché questa ancora regge, la Fed può tagliare in difesa del lavoro senza compromettere la credibilità sul target.

Un taglio di gestione del rischio, non l’avvio di un ciclo

La Fed non ha inaugurato un ciclo espansivo. Secondo Debach, il taglio di settembre è stato un risk cut: proteggere l’occupazione senza abbassare la guardia sull’inflazione. Powell lo ha detto esplicitamente: “non esistono percorsi privi di rischio”. E la traiettoria dei tassi lo conferma: curva più bassa, target intatto.

La giornata, letta attraverso i pesi settoriali e i canali geopolitici, dai semiconduttori alle restrizioni sui chip AI, dimostra che l’interpretazione dei mercati rimane appesa a sfumature: una frase inedita nello statement, una revisione delle proiezioni, un voto di dissenso bastano a ribaltare l’umore. Per ora, conclude Debach, il messaggio della Fed è difensivo, graduale, condizionato dai dati. Ed è proprio questa gradualità, con rischi bilanciati e ancoraggio delle aspettative, a definire la politica monetaria delle prossime settimane: meno narrativa da colomba, più ingegneria del rischio.

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