Governo pronto alle privatizzazioni: Mps, Eni e Poste Italiane nel mirino
L’obiettivo dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sarebbe quello di incassare ulteriori 5/6 miliardi di euro che si aggiungerebbero ai 3 miliardi provenienti dalle quote di Mps ed Eni dismesse nei mesi scorsi.
Il piano del Governo italiano
Obiettivo portare a casa tra i 5 e i 6 miliardi di euro dalle privatizzazioni entro il 2025 ma mantenendo comunque il controllo statale, dopo i 3 miliardi ottenuti dalle dismissioni di parte delle quote detenute in Mps e Eni. Sarebbe questo il piano del Governo guidato da Giorgia Meloni secondo indiscrezioni raccolte da Il Messaggero e l’esecutivo starebbe pensando a vendere partecipazioni in Monte dei Paschi di Siena, Eni, Poste Italiane ed Enav (fino al 20%), oltre Fs e Trenitalia e a far entrare i privati nel capitale dei porti italiani.
Il tutto per far cassa e ridurre l’eterno enorme debito pubblico italiano, mettendo sul mercato quote di alcune grandi società italiane.
Eni, Mps ed Enav
Fino a questo momento, il 2,8% di Eni piazzato sul mercato ha fruttato circa 1,4 miliardi, mentre la quota Mps ha fatto entrare 1,5 miliardi nella casse del Tesoro. Il Governo potrebbe vendere altre quote del Cane a Sei zampe e fino al 20% di Enav, aumentando così gli introiti.
Dal fronte Mps, il Mef detiene ancora il 26,7% dopo le recenti vendite (totale di 1,570 miliardi incassati) dal 64,2% iniziale e gli impegni presi con Bruxelles lo impegnano alla riduzione sotto il 20% entro fine anno. L’esecutivo, però, starebbe facendo delle valutazioni di natura strategica, volendo evitare di esporre la banca al rischio di Opa da parte di un soggetto estero, valutando anche l’ipotesi partner industriale.
In ogni modo, “rimane a nostro avviso da valutare l'effettiva volontà politica di uscire completamente dal capitale della banca", spiegano gli analisti di Equita Sim.
Le ipotesi su Poste Italiane
Per Il Messaggero, il dossier Poste Italiane sarebbe “meno complesso” e per raggiungere già nel 2024 la cifra di 6 miliardi di proventi dalle privatizzazioni sarebbe “sufficiente cedere un'altra tranche”, anche se le discussioni in corso fin da prima dell’estate non hanno portato a molto e l’avvio dell’operazione sarebbe stato rimandato diverse volte.
L’ipotesi sarebbe quella di cedere il 15% del capitale, consentendo all’esecutivo di mantenere il controllo pubblico sull'azienda che secondo gli analisti di Equita, porterebbe nelle casse dello stato circa 2,5 miliardi di euro.
L’obiettivo sarebbe quello di sfruttare al meglio l’andamento del mercato e le ottime performance dell’azienda guidata da Matteo Del Fante, l’ad che ha cambiato pelle al gruppo, diversificando le attività e implementando l’efficienza e i ricavi. “C’è da vincere i dubbi dei sindacati che, come nel caso della privatizzazione di Ita, data in sposa a Lufthansa, continuano a chiedere garanzie sul fronte occupazionale”, aggiungono dalla sim.
Amazon interessata?
In un articolo de La Stampa si parla del collocamento di una quota del 14% di Poste entro il 2024, anche in questo caso permettendo allo Stato (Cdp+Mef) di mantenere la maggioranza del capitale.
Dai commenti di un membro dell’opposizione sarebbe emersa anche la possibilità della volontà di Amazon di entrare nell’azionariato, ipotesi sulla quale gli analisti di WebSim Intermonte ritengono che “restano dubbi sull’effettivo interesse”, considerando anche che tra le due società è in corso una partnership di 5 anni rinnovata nel 2022 e che coinvolge sia la parte logistica per la consegna dei pacchi che la parte digitale tramite Postepay soprattutto in ambito e-commerce acquiring.
“Stimiamo che Amazon sia attualmente il primo cliente di Poste per la consegna pacchi, contribuendo per volumi e ricavi a circa 25%/30% del business totale della consegna pacchi, e per circa 45%/50% sul totale business B2C”, spiegano dalla sim, che sul titolo Poste Italiane mantengono un target price di 14,1 euro rispetto ai 12,415 euro di questa mattina (-0,40%).
Le altre ipotesi
Allo studio del Governo ci sarebbero anche i dossier legati agli scali marittimi e le ipotesi sul tavolo sarebbero diverse, sempre secondo le ipotesi de Il Messaggero. La prima prevede di seguire il modello aeroporti, con l’apertura ai privati della gestione dei porti, con i Fondi di investimento pronti ad entrare nell’azionariato, visto che il business portale e della logistica ha costi e andamenti dei ricavi abbastanza certi.
Per il momento si tratterebbe solo di ipotesi in quanto siamo in una fase iniziale e non è ancora chiaro se l’apertura a nuovi soci riguarderà ogni singolo porto o, come immaginato da alcuni esperti del settore, possa nascere una super Autorità portuale, nella quale lo Stato dovrebbe comunque conservare la maggioranza o una quota di controllo visto che si tratta di infrastrutture strategiche per il Paese.
Infine, gli altri dossier riguardano le cessioni di quote di Fs e Trenitalia, già ventilata ai tempi del Governo Renzi nel 2016 ma poi naufragata che prevedeva l’immissione sul mercato della holding dei treni e dismetterne parte delle azioni.
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