Materie prime: oro e argento corrono, petrolio in surplus e rame ostaggio della politica

09/09/2025 13:00
Materie prime: oro e argento corrono, petrolio in surplus e rame ostaggio della politica

In un anno segnato da supply chain incrinate e tariffe che ridisegnano le rotte, i prezzi delle commodities raccontano una geoeconomia in movimento: beni rifugio che volano, energia abbondante, metalli industriali sostenuti da capex pluriennali e un mercato sempre più determinato dal controllo delle filiere.

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Dalle quotazioni al terreno di scontro

Le materie prime non sono più un affare da “trader ciclico”, ma il terreno di scontro geopolitico e finanziario: lo mostra un Baltic Dry Index a +102% da inizio anno (fuori scala, segnale della tensione nei trasporti più che del prezzo delle commodities in sé) insieme a oro +39%, argento +43% e rame +13%.

Secondo Gabriel Debach, market analyst di eToro, la catena globale dell’offerta si è incrinata e le commodities sono divenute leva politica: la Cina controlla oltre il 90% della raffinazione delle terre rare, gli Stati Uniti si avviano a fornire più di un terzo dell’LNG mondiale entro il 2030, mentre l’OPEC+ è tornata arbitro del petrolio. Non è più (solo) domanda e offerta “classiche” a fissare i prezzi, ma il controllo delle filiere strategiche; per questo dare per esaurito il potenziale perché le quotazioni hanno già corso significa guardare al dito e non alla luna.

Leadership disomogenea tra cluster

La leadership 2025 è netta ma non uniforme: i metalli preziosi guidano con rialzi a doppia cifra: oro vicino al +40%, argento oltre, platino sopra il +50%. Nei metalli industriali, invece, il saldo è positivo ma più cauto, con rame sopra il +10%, alluminio appena a +2,3% e acciaio in negativo (-7%). L’energia è il fanalino di coda: WTI e Brent tra -11% e -13%, gas e carbone ancora più deboli, con l’etanolo e l’uranio in controtendenza. Gli agricoli restano il cluster più disperso: bovini ai massimi, caffè in doppia cifra, cereali e zucchero in caduta. È la fotografia che Debach ricava dai trend recenti.

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Oro, bene rifugio per eccellenza e non solo

L’oro resta bene rifugio per eccellenza, sorretto da acquisti record delle banche centrali, interesse degli investitori e timori sulla credibilità della Fed. Ma, spiega Debach, non è una commodity come le altre: non si consuma, si accumula; l’offerta mineraria è limitata, stabile e anelastica al prezzo, per cui i cicli non si chiudono con nuova offerta, ma quando si affievolisce la “convinzione” dei compratori. A guidarla sono tassi reali, forza del dollaro e instabilità geopolitica.

Nei primi due trimestri del 2025 la domanda d’investimento è salita al 43% del totale, superando i gioielli al 33%; soprattutto, nelle riserve ufficiali l’oro ha superato prima l’euro e poi i Treasury USA, pesando più dei titoli di Stato americani nei bilanci delle banche centrali: una radiografia della nuova geografia della fiducia, sottolinea Debach.

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Rame, domanda strutturale e volatilità politica

Il rame “tiene” perché sostenuto da driver strutturali: reti elettriche, crescita esponenziale dei data center e nuova corsa agli armamenti spingono la domanda reale. Negli Stati Uniti i mercati elettrici regionali sono in tensione per il boom delle server farm, mentre in Europa la spesa militare alimenta l’uso di acciaio, rame e nichel.

Tuttavia, la politica può cambiare lo scenario in ore: il 30 luglio 2025 i future Comex hanno perso oltre il 22% in una seduta dopo l’esenzione dai dazi sui catodi importati decisa a Washington, che ha azzerato il premio del rame americano sul LME, invertendo lo spread.

Come osserva Debach, la traiettoria di lungo periodo resta però sorretta da transizione energetica e spesa per la difesa: il rame non è più solo barometro dell’industria, è ostaggio delle scelte politiche e commerciali.

Energia, offerta abbondante e rischi di shock

Nel comparto energetico la storia è opposta: da inizio anno il WTI ha perso oltre il 13%, segnale che non manca la domanda, ma straripa l’offerta. Brasile, Guyana e Canada immettono più barili, Pechino ha accumulato scorte, e la strategia OPEC+ di sacrificare margini per quote ha creato un surplus che schiaccia le quotazioni.

Come spiega Debach, la forward curve lo riflette: dopo una breve tensione, i prezzi si stabilizzano poco sopra i 62 dollari, per poi scendere gradualmente verso 61 al 2035. Non è un mercato sotto assedio, ma abbondante; eppure la volatilità implicita indica che i rischi non sono evaporati: la “smile” delle opzioni segnala paura di shock in entrambe le direzioni. Basta un evento (taglio inatteso OPEC+, rottura di rotte, impennata di domanda) per capovolgere l’eccesso in scarsità.

Agricoli, eterogeneità e sovranità commerciale

Gli agricoli restano un mosaico: carne bovina in volo per scarsità di offerta, zucchero, mais e grano in calo per raccolti abbondanti e effetto dazi; qui le politiche commerciali contano quanto il meteo.

Ieri la Cina ha imposto dazi temporanei fino al 62% sulla carne suina europea: un segnale che il commercio agricolo risponde sempre più a decisioni sovrane. Come rimarca Debach, i dazi hanno riportato le commodities al cuore della politica economica: non esiste più un mercato neutrale, e la geografia dei prezzi dipende da chi compra e da quali rotte può usare.

Come orientarsi nel mondo delle commodity

Si può ancora guadagnare con le materie prime? Secondo Debach sì, ma non nello stesso modo dappertutto: l’oro resta il rifugio più solido finché non si incrina la convinzione che lo sostiene; l’argento amplifica i movimenti del metallo giallo grazie al lato industriale; il rame resta centrale perché ogni infrastruttura energetica o digitale richiede più metallo rosso; nell’energia le opportunità sono meno lineari e risiedono nella navigazione della curva e degli shock geopolitici; gli agricoli dipendono più da El Niño o da decisioni politiche che dalla macro.

In definitiva, le commodities non vanno lette al singolare: polizze, asset rifugio, input industriali, strumenti geopolitici e terreno di speculazione convivono nello stesso universo. Il 2025 lo dimostra: i guadagni ci sono, ma sono figli delle differenze, conclude Debach.

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