Meglio puntare sull’oro o sui titoli auriferi?


La nuova corsa all’oro tiene banco sui mercati finanziari e gli analisti analizzano le opportunità per approfittare dei rialzi di queste ore, indicando come una possibilità di investimento quello di rivolgersi ai titoli azionari collegati al metallo giallo.


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Il rally dell’oro

In queste ore ha ripreso vigore la corsa all’oro sui mercati e il metallo prezioso ha toccato i suoi massimi storici intorno quota 2.140 dollari l’oncia, per poi ritracciare leggermente a causa di inevitabili prese di beneficio.

Il nuovo protagonismo dell’oro arriva in un contesto in cui si inizia a ipotizzare non solo la fine dei rialzi dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, attesa alla sua prossima riunione il 13 dicembre, ma addirittura si specula su quando avverrà il primo taglio, già a marzo 2024 secondo alcuni analisti di Goldman Sachs, nonostante il Presidente Jerome Powell abbia definito “prematuro” parlare dell’avvio dell’allentamento della politica monetaria targata Fed.

“Il problema è che non importa quanto razionali possano essere - o almeno possano sembrare - le aspettative per i tagli dei tassi nel 2024, tali aspettative possono alimentare superamenti irrazionali dei prezzi degli asset”, avvisa Stephen Innes di SPI Asset Management.

Tensioni geopolitiche

Non solo Fed alla base del rally dell’oro, ma anche i venti di guerra soffiano sulla corsa al metallo giallo, secondo Imaru Casanova, gestore specializzato sui metalli preziosi di VanEck.

A ottobre, quando era scoppiato il nuovo conflitto in Medio Oriente, “l’oro ha dimostrato il suo ruolo storico di investimento rifugio, di copertura contro l’incertezza dei mercati, la volatilità e il rischio geopolitico e di bene che offre protezione in presenza di un livello elevato di pericolo e paura”, spiega Casanova.

Solo il 5 ottobre l’oro toccava i suoi minimi mensili a 1.820 dollari, poi schizzato oltre quota 2 mila dollari dopo l’attacco di Hamas nei confronti di Israele datato 27 ottobre, per poi attestarsi a 1.980 dollari, con un guadagno del 7,32% in trenta giorni.

Dopo una pausa è ripresa la corsa e l’oro tornava sopra quota 2 mila, chiudendo il periodo sopra tale soglia.

Il legame con le società aurifere

Se l’oro corre, i titoli legati al metallo prezioso sembrano non tenere il passo e restano indietro.

La differenza tra i due asset emerge dall’andamento degli Exchange Traded Commodity (ECT) fisici sull’oro e quello degli strumenti legati alle aziende che hanno scelto il metallo come core business.

Confrontando l’ETC iShares Physcal Gold con l’ETF iShares Gold Producers emerge differenza di circa il 3% del loro andamento al 30 novembre, rispettivamente del +9,7% e del 6,8%, aumentato rispetto al 24 novembre, quando ha ridotto gran parte del gap (vedi grafico seguente).

Da questo grafico emerge chiaramente come i titoli auriferi abbiano tenuto il passo dell’oro nella prima parte di ottobre, ma quando la materia prima si stava avvicinando a quota 2 mila dollari, hanno perso slancio cedendo metà dei loro guadagni precedenti.

Un altro indice che mostra l’andamento delle società aurifere è il NYSE Arca Gold Miners Index, nel quale sono racchiuse le grandi compagnie mondiali.

L’indice ha registrato un incremento del 4,2% ad ottobre, per poi aumentare dell’11% a novembre, risultato migliore rispetto a quello dell’oro (+3,8%), rafforzandosi soprattutto nella seconda parte del mese.

I movimenti passati

Storicamente, i titoli auriferi hanno avuto una forte correlazione con la materia prima e gli analisti di VanEck evidenziano come dall’inizio dell’attuale mercato Toro dell’oro iniziato a fine 2015 le compagnie minerarie abbiano sovraperformato.

Anche in questo caso ci viene in soccorso un grafico, nel quale si confronta l’indice NYSE Arca Gold Miners e l’MVIS Global Juniors Gold Miners index (composto dalle small cap più liquide del settore) con l’andamento dell’oro fisico.

Effetto leva

Secondo Casanova, questa migliore performance è dovuta all’effetto leva: “per ogni variazione del prezzo dell’oro, il flusso di cassa operativo generato da queste società aumenta (o diminuisce) di una percentuale molto maggiore”.

L’analista cita Alamos Gold (AGI), società che “stima che un aumento del 5% del prezzo dell’oro (circa +100 dollari/oncia) si tradurrebbe in un incremento di quasi il 30% del free cash flow nel 2024”.

In altri termini, generalmente gli investitori scelgono le azioni aurifere, pur nella consapevolezza dei rischi delle attività minerarie, per poter avere ritorni amplificati quando il metallo giallo si apprezza molto. Ma questo non accade sempre e il 2023 ne è un esempio.

Le ragioni del divario

Il divario tra l’oro e le compagnie minerari mostrato da gennaio viene spiegato da VanEck con quattro ragioni fondamentali come le scelte delle banche centrali, i costi, il ribasso azionario e le situazioni specifiche nei singoli Paesi.

Le banche centrali hanno effettuato ingenti acquisti d’oro nel 2023, che alcune stime indicano come superiori a quelli dello scorso anno, già importanti.

I costi

In un contesto inflazionistico che torna verso la normali, gli analisti stimano che i costi medi complessivi del settore quest’anno saranno superiori del 5-8% rispetto al 2022.

“Sebbene il prezzo dell’oro abbia contribuito a sostenere i margini, il mercato sembra insoddisfatto della mancanza di un’espansione significativa degli stessi” e “queste preoccupazioni si sono probabilmente accentuate in ottobre, a seguito delle revisioni negative delle guidance 2023 da parte di Newmont (NEM), la più grande società di estrazione aurifera al mondo”, scrive VanEck.

Ribassi azionari e singoli Paesi

Ottobre è stato un mese negativo per i mercati internazionali, ma a novembre è arrivato il recupero dei titoli azionari (Indice Morningstar Global TME +14%), slancio a cui hanno partecipato anche i titoli auriferi, mostrandosi sensibili al contesto.

Il gestore indica anche i rischi dovuti alle scelte politiche nei Paesi in cui si svolge l’attività estrattiva dell’oro, soprattutto quelli emergenti e il mese scorso si è caratterizzato da cattive notizie provenienti da Panama e dal Burkina Faso.

Il quinto elemento

Le stime di Morningstar indicano deflussi degli investitori dagli ETC sull’oro fisico ad ottobre per 888 milioni di euro dagli strumenti sui metalli preziosi, dato quasi del tutto imputabile a quello sul metallo giallo.

Nel terzo trimestre, i riscatti netti hanno superato i 3 miliardi, in peggioramento rispetto ai -1,6 miliardi dei precedenti tre mesi.

“Il clima di sfiducia del mercato e l’apatia nei confronti dell’oro hanno avuto un impatto molto maggiore sui titoli auriferi (rispetto al bene fisico)”, ipotizza Casanova, per il quale, tuttavia, “le preoccupazioni sembrano eccessive” e le aziende del settore sono “sottovalutate”.

Auriferi alla riscossa

“La continua attenzione delle società al controllo dei costi, all’ottimizzazione del portafoglio e all’allocazione disciplinata del capitale per guidare la crescita e massimizzare i ritorni, in modo responsabile e sostenibile, insieme alle nostre previsioni di un aumento dei prezzi dell’oro, supportano le nostre aspettative per una rivalutazione del settore”, è il ragionamento del gestore, che ammette: la sovra-performance di novembre potrebbe essere il segnale del cambiamento.

Sulla stessa linea gli analisti di Morningstar, vedendo “sacche di sottovalutazione nelle compagnie aurifere, che rientrano nel loro universo di ricerca”.

Tra i titoli seguiti dal broker, “le azioni Newmont rimangono sostanzialmente sottovalutate e vengono scambiate con uno sconto del 31% rispetto al fair value”, spiega Jon Mills, equity analyst di Morningstar in un report del 21 novembre.

“Riteniamo che ciò sia dovuto in parte alle preoccupazioni per l'aumento dei tassi di interesse reali, che incrementano il costo/opportunità di detenere oro. Un'altra probabile ragione sono gli elevati costi unitari di cassa di Newmont. A differenza dei concorrenti minori Agnico Eagle (AEM) e Kinross Gold (K), le vendite di Newmont per i primi nove mesi del 2023 hanno deluso, ma riteniamo che aumenteranno e i margini miglioreranno”.

Agnico Eagle e Kinross sono invece sostanzialmente in linea con le stime di fair value di Morningstar (al 30 novembre).

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