NFP Usa: debolezza confermata, gli effetti su Treasury ed euro/dollaro

Il mercato del lavoro statunitense conferma un progressivo raffreddamento: i dati di agosto, uniti alle revisioni dei mesi precedenti, mostrano un quadro meno solido e spingono gli operatori a scommettere su una stagione di tagli della Fed. Le ricadute si riflettono immediatamente sulla “pancia” dei Treasury, sul cambio euro/dollaro e sulla percezione di rischio azionario.
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Debolezza conclamata, dal JOLTS al dato di agosto
I dati di agosto sui Non-Farm Payrolls (NFP) confermano quanto già suggerito dal report JOLTS: il mercato del lavoro non è più tirato come in passato. Come spiega Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte, il rapporto tra posti vacanti e disoccupati è sceso sotto l’unità, livello che già nel 2024 aveva contribuito a un taglio da 50 punti base. La fotografia di agosto mostra un settore sanitario e dei servizi ancora in espansione, mentre il comparto pubblico segna il passo, evidenziando la fragilità complessiva dell’occupazione.
Tassi in discesa e “pancia della curva”, l’effetto sui Treasury
Le attese di mercato si spingono verso cinque-sei tagli in un anno, con una probabilità del 15% che il Fomc scelga un taglio da 50 punti base già il 17 settembre. La “pancia” della curva dei Treasury (3-5 anni) continua a scendere, avvicinandosi al 3,3%, ossia il costo medio del debito federale.
Secondo Cesarano, questo rende sostenibile un maggior ricorso a emissioni intermedie, alleggerendo la spesa per interessi, che ormai rappresenta la seconda voce del bilancio Usa dopo la Social Security. La strategia descritta da Cesarano prevede un allineamento tra politica monetaria e gestione del debito, con tagli complessivi di 150-175 punti base entro dodici mesi.
“Fiscal dominance” e la leva energetica
Una Fed più “trumpiana”, secondo Intermonte, può accettare tagli dei tassi anche in presenza di un’inflazione in leggera risalita, purché contenuta. Per reggere questa impostazione, cruciale sarà l’andamento dei prezzi energetici.
Non a caso, Washington spinge su Opec+ per aumenti di offerta già da ottobre e mantiene la pressione sul Venezuela per sbloccare potenzialità estrattive enormi ma sottoutilizzate. Una disponibilità maggiore di petrolio aiuterebbe a contenere la componente energetica dell’inflazione, creando margini per tagli pro-crescita senza alimentare spirali inflattive.
Euro/dollaro, atteso un breve rafforzamento
Nonostante le attese di easing, il dollaro non è riuscito a superare i massimi di 1,18 contro euro registrati a luglio. Il posizionamento del mercato è già fortemente carico sul deprezzamento del biglietto verde, come dimostrano i risk reversal.
Possibile per l'euro/dollaro, secondo Cesarano, un overshooting verso 1,20 entro fine anno, ma con prospettive di esaurimento nel 2026. La fragilità delle finanze pubbliche in alcuni Paesi europei, i dati deboli della Germania e l’incertezza sul destino delle riserve russe congelate presso Euroclear potrebbero spingere a una normalizzazione del cambio dopo l’eccesso.
Settembre difficile per azionario, ma spiragli a fine anno
Sul fronte azionario, Intermonte avverte che settembre sarà un mese ostico: stagionalità negativa, rallentamento degli investimenti legati all’AI, tensioni con la Cina sul fronte dei chip avanzati e blackout dei buyback riducono la liquidità complessiva.
Tuttavia, il finale d’anno potrebbe offrire prospettive migliori: se la Fed avvierà il ciclo di tagli e gli stimoli fiscali accompagneranno la fase, anche una crescita più modesta potrà risultare compatibile con multipli sostenibili.
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