Non tutte le fang sono uguali
Dal peggiore dicembre dalla Grande crisi del 29 al migliore gennaio degli ultimi da 30 anni. Wall Street sembra una scheggia impazzita, una banderuola al vento della forte volatilità sulle Faang: Facebook, Apple, Amazon Netflix e Alphabet (Google) che da sole pesano oltre il 40% del Nasdaq.
Dal segno meno al miglior Gennaio
Solo un mese fa chiunque si avvicinava, in Borsa s’intende, ai titoli tech era destinato a bruciarsi. Le perdite passavano dai 38% di Apple e Netflix per limitarsi al 13% di Google (reduce però di mesi già molto difficili) A gennaio la musica è cambiata: il Dow Jones ha archiviato un +7,17%, il migliore gennaio da 30 anni a questa parte appunto, grazie a una raffica di trimestrali generalmente buona e a una Federal Reserve “paziente” in materia di tassi.
Ancora una volta protagoniste assolute sono state le Faang. Da inizio anno Facebook ha recuperato il 26,4%, con un titolo che capitalizza mezzo trilione di dollari, stiamo parlando di maggiore valore per gli azionisti per circa 120 miliardi, cifre che fanno impallidire le nostre finanziarie. Netflix, la migliore, è volata del 27%. Amazon ha registrato un +8,7%. Apple “la più debole”, parliamo di un titolo che capitalizza 785 miliardi, ha guadagnato il 5,5%.
Cosa è successo a Wall Street?
I tech Usa quotano tutti a multipli elevati perché scontano, nei loro prezzi, le attese di una forte crescita degli utili. A fine anno le tensioni commerciali tra Usa e Cina, dati macroeconomici non esaltanti, avevano diffuso tra gli investitori la convinzione che uno dei cicli economici espansivi tra i più longevi della storia, stesse per finire. Gli operatori hanno fatto due più due. Se il ciclo economico si inverte quali sono i titoli che verranno penalizzati di più? La risposta è semplice, forse troppo: quelli, come i tech, che scontano forte crescita.
Facebook, Google a dicembre avevano un P/e (rapporto tra prezzo e utili) di oltre 30 volte. Netflix sopra le 100 volte. Amazon di 80. Per il buon vecchio Warren Buffett (il terzo uomo più ricco del mondo) un titolo è interessante con un rapporto prezzo su utili di 10 volte. Tradotto se gli utili rimanessero costanti, l’investimento si ripagherebbe da solo in 10 anni, non male. Sempre con utili costanti investire su un titolo con un p/e di 100 significa rientrare dell’investimento dopo 100 anni.
Le valutazioni elevate dei tech si basano sull'assunzione che riusciranno a mantenere elevati i tassi di crescita e quindi un titolo che oggi pago 100 volte gli utili l’anno prossimo lo pago “solo” 50 se il netto in un anno è raddoppiato e così via. Il mio ritorno totale dell’investimento potrebbe così arrivare solo dopo pochi anni, magari anche meno di 10.
Il futuro
L’incognita ora è se le valutazioni sui tech sono un castello di carta destinato a cadere o realtà? La risposta sul lungo termine non la sa nessuno, anche se sono ormai anni che questi titoli crescono e a ritmi forti. Molti tech inoltre sono seduti su una montagna di liquidità che gli permette di continuare a investire e rimanere tecnologicamente le aziende più evolute.
A gennaio la risposta sulla crescita reale dei tech è arrivata dai numeri ovvero dalla raffica di trimestrali pubblicata in questi giorni. Facebook ha stupito al rialzo con un titolo che ha guadagnato oltre il 10%. Gli amici non hanno abbandonato Zuckerberg, anche se il re dei social network li ha spiati. Tutto concesso tanto che Zuckerberg, secondo Forbes è ora il quinto paperone più ricco del pianeta.
I titoli in dettaglio
Non delude nemmeno Apple con una trimestrale sopra le attese, ( a dire il vero già abbondantemente ridotte). Il mercato attendeva una risposta al grande dubbio amletico sul destino di questa società, un calo di ricavi sul fronte iPhone è compensabile con la crescita di altri business? La trimestrale risponde solo in parte. Il business dei servizi cresce in maniera decisiva e arriva a pesare il 20% dei ricavi del gruppo ma l’iPhone è la parte predominante del business, con le sole vendite in Cina che pesano il 13% di tutti i ricavi. Vedi l’approfondimento della trimestrale.
Bene Netflix crescono i ricavi medi per utenti e si allarga la platea degli iscritti sul sito di video streaming. Anche se la concorrenza si fa più agguerrita.
I numeri di Amazon (-4% dopo la trimestrale) sono in chiaroscuro bene i conti ma deludono le stime sui prossimi trimestri.
Le trimestrali insegnano, che dobbiamo dimenticarci gli schemi predefiniti. L’acronimo Faang esiste solo sui giornali non in Borsa. Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google saranno anche i maggiori tech Usa ma si occupano di business molto diversi, con logiche di mercato e strategiche differenti. Apple è molto più rigida sul fronte della trasformazione del suo business perché legata a un prodotto “reale” e non a servizi o software definiti dagli economisti aziendali “più liquidi” perché in grado di adattarsi, anche quando si tratta semplicemente di tagliare i costi.
Apple e Amazon sono legati alle dinamiche sui consumi in maniera differenti. La prima offre prodotti a prezzi e qualità elevati, Amazon invece è molto competitiva sui prezzi. Lo stesso vale per Netflix, anche gli aumenti di prezzo, non spaventano i consumatori perché l’offerta è a forte sconto rispetto ai competitor. Facebook e Google sono più legati alle logiche della raccolta pubblicitaria via internet, con business molto differenti. Raggruppare le Faang in un unico acronimo è semplicemente riduttivo. E quello che è successo in Borsa a fine dicembre ci insegna che quando si fa di un’erba un fascio o si semplifica troppo, si creano ottime occasioni di guadagno.
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