Oro affossato dal superdollaro

Una Federal Reserve sempre più falco e i dati macro spingono in alto il biglietto verde e i Titoli di Stato USA, spingendo il bene rifugio per eccellenza ai minimi di sei mesi.
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Oro ancora debole
Non si ferma il calo dell’oro, indebolito dalle conseguenze di una Federal Reserve ancora ‘hawkish’ che spinge in alto il dollaro.
Il prezzo dell’oro spot era sceso a 1.821 dollari l’oncia questa mattina, settimo ribasso consecutivo e quotazione ai minimi da sei mesi, trend seguito anche dal future con scadenza a dicembre, sceso fino a 1.831.
Debole anche l’argento, a 20,90 dollari l’oncia, livelli che non vedeva da sei mesi e mezzo, mentre il platino resta ai minimi da un anno a 876 dollari.
Le cause
“L’oro è la vittima più illustre del super dollaro, spinto sui massimi dell'anno dallo scenario di tassi elevati” e “dagli ultimi dati macro sopra le attese”, spiegano gli analisti di WebSim Intermonte, aggiungendo che “anche l'accordo bipartisan in extremis per evitare lo shutdown ha diminuito l'appeal dei beni rifugio come l'oro”.
Segnali da falco sono arrivati dal governatore della Fed, Michelle Bowman, la quale si è dichiarata di essere disposta a sostenere un altro aumento del tasso di interesse della banca centrale nelle prossime riunioni se i dati in arrivo mostrassero che i progressi sull'inflazione sono in fase di stallo o procedono troppo lentamente.
Dello stesso tono le dichiarazioni di Michael Barr, vicepresidente della Fed per la supervisione, secondo il quale la banca centrale probabilmente “dovrà mantenere i tassi alti per un po’ di tempo”.
Sul fronte inflazione, al recente raffreddamento rispetto ai massimi degli ultimi quattro decenni, oltre il 9% annuo, toccati nel giugno 2022, si contrappone il rally travolgente del petrolio negli ultimi tre mesi (+35%), sollevando nuove preoccupazioni.
“Solo una accelerazione della discesa dell'inflazione USA, a nostro giudizio, sarà in grado di riportare interesse sull'oro”, prevedono da WebSim.
Superdollaro
In queste ore, la coppia EUR/USD si era ridotta fino ad un minimo di 1,046 e l’indice del dollaro sfondava quota 107, superata solo un anno fa.
La Fed falco e l’accordo per evitare un parziale shutdown del governo USA hanno portato i rendimenti dei titoli del Tesoro di riferimento fino al 4,704% nelle ore asiatiche di martedì, un picco di 16 anni, spingendo a sua volta il dollaro al rialzo.
“Ci sono due fattori molto potenti che sostengono il dollaro americano in questo momento, il differenziale del tasso reale è favorevole agli Stati Uniti e l'economia americana sta sovraperformando”, spiega Samy Chaar, capo economista di Lombard Odier.
I tassi di interesse “reali”, a differenza di quelli nominali, tengono conto dell'inflazione che sta scendendo più rapidamente negli Stati Uniti che in Europa.
Inoltre, secondo Chaar ci sono anche fattori tecnici che guidano la svendita dei titoli del Tesoro statunitensi, forse la capitolazione da parte dei principali investitori poiché la situazione economica, a suo avviso, non giustifica il continuo aumento dei rendimenti.
Il destino del dollaro potrebbe essere segnato questa settimana dai dati sul mercato del lavoro.
“I nuovi posti di lavoro JOLTS negli USA previsti per oggi (ore 16 italiane) e le buste paga non agricole di venerdì possono essere un catalizzatore per spingere al rialzo i tassi di interesse degli Stati Uniti, spingendo in alto il dollaro se sorprenderanno al rialzo”, prevede Carol Kong, economista e stratega valutaria presso la Commonwealth Bank of Australia.
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