Per gli analisti i segnali della recessione siano già presenti


Gran parte degli analisti sostiene che l’economia reale verrà toccata dalla crisi delle banche e che inoltre siano già presenti anche i segnali premonitori della recessione.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Inflazione USA YoY di marzo in uscita oggi alle 14:30 (stima 5,2% contro 6% di febbraio).

Ieri le vendite al dettaglio MoM di febbraio dell’Europa MoM di febbraio sono risultate in linea con le attese (-0,8%) e con il dato di gennaio.

Inflazione USA prevista dunque in calo a marzo. Ci sono tuttavia segnali molto contrastanti, a cominciare dal tasso di disoccupazione che a marzo è addirittura sceso ulteriormente al 3,5% (rispetto al 3,6% previsto e di febbraio) e tiene a galla i consumi non permettendo all’inflazione di scendere. E’ possibile tuttavia che i tre fallimenti bancari non abbiano ancora avuto effetto sul comportamento dei consumatori e quindi sulle dinamiche economiche.

Laddove invece i segnali delle difficoltà del settore bancario USA sono più chiari è sui prestiti. Secondo i dati ufficiali della FED, nelle ultime due settimane di marzo i prestiti delle banche commerciali si sono ridotti di US 105 bn (peggior calo dal 1973), in gran parte dovuto alle piccole banche regionali (-US 73,6 bn). Parallelamente, anche i depositi delle banche sono risultati in calo (-US 64,7 bn), lasciando trasparire una riduzione generale dell’attività economica.

Chiaro che, come abbiamo più volte messo in luce, il rischio è che la flessione dei prestiti a famiglie e imprese inneschi una flessione dell’attività economica che apra le porte ad una recessione. Sono sempre meno i consumatori che stanno pianificando di acquistare una casa o un’auto o di spendere soldi per altri articoli di grandi dimensioni come un grande elettrodomestico o una vacanza. Il calo della spesa, abbinato all’aumento dei tassi di interesse, potrebbe contribuire a spingere l’economia in una recessione.

Gran parte degli analisti sostiene che l’economia reale verrà toccata dalla crisi delle banche e che inoltre siano già presenti anche i segnali premonitori della recessione: il clima di fiducia delle imprese è risultato in calo a marzo (46,3 punti contro 47,7 di febbraio), così come la fiducia dei consumatori (62 punti contro 67 di febbraio) e l’indice PMI non manifatturiero (51,2 punti contro 55,1 di febbraio).

Le elevate preoccupazioni per il sistema bancario e le maggiori probabilità di una recessione renderanno le famiglie più caute riguardo alla spesa e le imprese più diffidenti ad investire. E questo lo vediamo anche dall’indice Bloomberg relativo alle condizioni finanziarie degli USA, diventate molto più rigide nelle ultime due/tre settimane.

La riduzione dell’attività economica “darà una mano” alla FED nel rientro dell’inflazione: la stima è che la crisi delle banche regionali, valga tra 25 bp e 50 bp di rialzo dei tassi.

E gli investimenti? Partiamo dalle obbligazioni. I rendimenti obbligazionari reali sono notevolmente rimbalzati a svantaggio degli investitori nel 2022, quando le banche centrali hanno posto fine alla repressione finanziaria (modalità di tassare gli obbligazionisti mantenendo i rendimenti reali negativi). L’uscita dalla repressione finanziaria ha comportato gravi perdite per gli investitori in titoli a reddito fisso (rendimenti più elevati comportano, come noto, una riduzione dei prezzi dei titoli). Nell’era della repressione finanziaria, gli investitori in obbligazioni hanno dovuto assumere un maggiore rischio di credito per smorzare i rendimenti reali negativi. Adesso, invece, non è più necessario e gli investitori in obbligazioni possono evitare i rischi di credito più elevati, come l’high yield, e optare per obbligazioni di migliore qualità, ottenendo un rendimento decente. Non escludiamo che nel corso dell’anno il rapporto rischio/rendimento si possa spostare ancora verso le fasce più alte del rischio di credito, costringendo così gli investitori ad assumere più rischio (ad esempio quando gli indicatori anticipatori raggiungeranno il minimo nel 2023 e l’economia mostrerà segni di ripresa nel 2024).

I mercati azionari di tutto il mondo hanno subìto una forte pressione nei primi nove mesi del 2022, a causa soprattutto del rialzo dei tassi di interesse. Riteniamo che il sell-off sia stato del tutto eccezionale perché è stato quasi interamente dovuto al derating dei multipli, ossia da valutazioni in calo, mentre le aspettative sugli utili sono rimaste stabili.

Nel 2023 riteniamo che gli investitori si concentreranno sempre più sulle prospettive degli utili e in particolare sulla loro resilienza a fronte del forte rallentamento dell’attività economica e delle pressioni inflazionistiche. Crediamo quindi che sia ragionevole per gli investitori mantenere una strategia orientata verso i titoli di qualità ed a elevato cashflow.

Più avanti e probabilmente a cavallo tra prima e la seconda metà del 2023, si potrà gradualmente iniziare a valutare settori più ciclici, che dovrebbero iniziare a guardare oltre il rallentamento temporaneo e a scontare una ripresa economica nel 2024.

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