Il petrolio si infiamma con la crisi ucraina: le previsioni sui prezzi con la possibile invasione

L’aggravarsi della situazione in Ucraina sostiene i prezzi delle altre materie prime, spingendo sempre più analisti a prevedere il raggiungimento di quota 100 dollari a brevissimo per il petrolio.
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Balza il prezzo del petrolio
Giornata di selloff sui mercati azionari e di acquisti sulle materie prime dopo il riconoscimento delle regioni secessioniste ucraine di Donestsk e Lugansk da parte della Russia e l’invio dei militari guidati da Putin nell’area, provocando la reazione dell’Occidente con la minaccia di sanzioni. L’aggravarsi della crisi in Ucraina ha spinto in alto i prezzi del petrolio, portando i future WTI a 94 dollari, mentre il Brent ha sfondato quota 97 dollari al barile, ai massimi dal 2014. Tra le materie prime, la corsa al rifugio sostiene il prezzo dell’oro, tornato a quota 1.900 dollari l’oncia, mentre schizza del 3% il gas naturale.
Il rischio di sanzioni
La prima decisione era stata presa dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, con la firma di un decreto per vietare nuovi investimenti, scambi e finanziamenti da parte di entità statunitensi nelle regioni ucraine al centro dell’attenzione. Gli alleati europei hanno annunciato future decisioni, facendo sapere che “reagirà con sanzioni contro coloro che sono coinvolti in questo atto illegale”, anche se non sono state fornite ulteriori informazioni circa le misure allo studio. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha dichiarato che in caso di invasione la Russia sarebbe tagliata fuori dai mercati finanziari, con il blocco dell’accesso alle esportazioni chiave russe necessarie per modernizzare la sua economia.
Le previsioni sul petrolio
Le forniture russe di oro nero verso l’Europa “corrispondono a 3 milioni di barili al giorno”, spiegava Andy Lipow, direttore generale di Lipow Oil Associates e nel caso in cui dovessero essere bloccate, “potremmo assistere a un ulteriore balzo dei prezzi del petrolio tra i 10 e 15 dollari al barile, portando il Brent a 110 dollari circa”. In caso di una reale invasione russa, “i futures sul greggio Brent potrebbero salire sopra i $ 100 al barile, anche se viene raggiunto un accordo con l’Iran”, ha affermato in una nota l’analista della Commonwealth Bank Vivek Dar. In caso di scenario peggiore per la crisi ucraina, con “Stati Uniti ed Europa costretti a imporre forti sanzioni alla Russia” comprimerebbe “ulteriormente l’offerta di materie prime”, prevedono da Algebris, con “un ulteriore picco nel prezzo del gas naturale e del petrolio”. “Negli Stati Uniti e in Europa, un ulteriore aumento dei prezzi del 20% potrebbe aggiungere circa 1 punto percentuale all'inflazione”, danneggiando “le aspettative e la spesa dei consumatori, soprattutto in Europa" visto che "poiché non importano nulla dalla Russia, è probabile che gli Stati Uniti non siano molto colpiti”, concludono da Algebris. Per evitare un aumento dei prezzi negli Stati Uniti, gli analisti di RBC Capital hanno affermato che la Casa Bianca dovrebbe preparare significative riserve di petrolio strategiche (SPR) coordinate attraverso l’Agenzia internazionale per l’energia. “Ci aspettiamo che il rilascio della Strategic Petroleum Reserve degli Stati Uniti sia più grande del rilascio di novembre e questa volta potrebbero essere consegnati più bei barili attraverso la vendita diretta”, ha affermato RBC Capital in una nota.
Opec+ pronta all’aumento della produzione
Nel frattempo, fonti del settore in contatto con Bloomberg indicano che l’Opec+ potrebbe decidere un nuovo aumento della produzione di petrolio di 400 mila barili giornalieri su base mensile a partire dal mese di aprile, da decidere nel corso del prossimo meeting previsto per il 2 marzo. L’organizzazione dei produttori allargata alla stessa Russia e ai suoi alleati sta cercando di ripristinare i volumi precedentemente tolti al mercato per far fronte alla crisi da coronavirus, quando il prezzo del petrolio era crollato. Un aumento della produzione era già stato richiesto dai paesi importatori, Stati Uniti compresi, ma l’Opec+ si era sempre negata affermando che l’attuale programma resta sufficiente a stabilizzare il mercato petrolifero. Molti produttori dell’Opec+, però, non sono in grado di raggiungere i volumi richiesti, contribuendo ad un livello insufficiente di produzione. Tra i paesi più in difficoltà su questo fronte troviamo l’Angola e la Nigeria, dove gli investimenti sono risultati insufficienti a sostenere la produzione, mentre i dati diffusi dall’IEA indicano che è tutta l’Opec+ che sta pompando un volume di greggio inferiore a quanto previsto, pari a circa 1 milione di barili giornalieri, elemento che indica come il problema sia più diffuso.
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