Russell 2000 su nuovi record assoluti: segnali di ritorno alla "street economy"

Dopo quasi quattro anni di silenzio, il Russell 2000 torna a segnare un nuovo massimo storico, sincronizzandosi con gli altri grandi indici americani. Un traguardo che va oltre il dato tecnico e che riapre il dibattito sulla “Street Economy”, tra prospettive di soft landing e vulnerabilità legate ai tassi.
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Un massimo storico che rompe un silenzio di quattro anni
Il Russell 2000 americano ha aggiornato un nuovo massimo storico dopo quasi quattro anni, accompagnato anche dalla formazione di una Golden Cross (la media mobile a 50 giorni taglia verso l'altro quella a 200). Per ritrovare l’indice su questi livelli bisogna tornare all’8 novembre 2021.
Secondo Gabriel Debach, market analyst di eToro, non si tratta soltanto di un segnale tecnico: per la prima volta dal 5 novembre 2021, tutti i principali indici americani – S&P 500, Nasdaq 100, Nasdaq Composite, Dow Jones e Russell 2000 – hanno toccato contemporaneamente nuovi record, un sincronismo assente da quasi un quadriennio e che oggi assume un forte valore simbolico per Wall Street.
Negli anni passati la traiettoria del Russell è stata ben diversa rispetto a quella dei listini maggiori. Nel 2022 aveva perso oltre il 21%, riflettendo la vulnerabilità delle small cap all’aumento dei tassi e al peggioramento delle condizioni finanziarie. Nel 2023 l’indice è rimbalzato del 15,1% e nel 2024 del 10%, senza però colmare il gap con i massimi storici né con l’andamento degli indici più blasonati. Basti pensare che nello stesso biennio lo S&P 500 ha guadagnato il 24% e il 23%, mentre il Nasdaq 100 ha messo a segno un +53% nel 2023 e un +25% nel 2024. Quest’anno, invece, il ritmo appare diverso: +10,6% da inizio 2025, in linea con i grandi indici e ben lontano dalle stagnazioni precedenti.
Il divario tra small cap e large cap
I numeri sui record parlano chiaro: dall’ultimo massimo dell’8 novembre 2021, lo S&P 500 ha aggiornato i propri massimi 89 volte, il Nasdaq 100 per 77, il Dow Jones per 63 e il Nasdaq Composite per 67. Il Russell 2000 era rimasto immobile. Per questo, chiarisce Debach, il nuovo massimo rappresenta la fine di un lungo silenzio e apre un interrogativo: si tratta di un segnale di normalizzazione dei mercati, con la liquidità che si diffonde oltre le grandi capitalizzazioni, o di un episodio temporaneo legato alle attese sui tassi?
Debach sottolinea che la simultaneità dei massimi è un evento raro, capace di segnalare tanto una fase di crescita diffusa e sostenibile quanto momenti di euforia corale che spesso anticipano inversioni.
Il rapporto storico SPX/RTY (ovvero tra large cap e small cap) chiarisce ulteriormente il quadro. Negli ultimi dieci anni lo squilibrio è diventato estremo, con un +58% a favore dello S&P rispetto al Russell, un livello che richiama gli eccessi degli anni ’90. Il nuovo massimo dell’indice delle small cap arriva proprio in questa fase di sproporzione storica, rafforzandone la portata simbolica.
Le small cap come cartina di tornasole della fiducia domestica
Il Russell 2000, si legge nel report di eToro, è l’indice più sensibile alle condizioni del credito e al costo del capitale. Da una parte il nuovo percorso di tagli della Fed, ripartito mercoledì sera, dall’altra una crescita economica rivista al rialzo sostengono la rotazione verso le small cap. Sul fronte macro, sottolinea Debach, alcuni dati hanno offerto sostegno: le richieste iniziali di sussidio di disoccupazione sono scese a 231.000, ben sotto il picco di 264.000 della settimana precedente, mentre le richieste continuative sono calate a 1,92 milioni, lontane dal massimo di inizio anno. Segnali che, pur in un contesto di assunzioni deboli e salari in stallo, mostrano come le aziende non stiano riducendo la forza lavoro.
Questo equilibrio fragile alimenta la narrativa del soft landing, rafforzata dalla composizione stessa del Russell, che resta molto più frammentata rispetto agli indici maggiori. I primi dieci titoli, si legge nel report di eToro, pesano appena il 4,9% del totale, contro il 37,8% dell’S&P 500. I settori leader sono finanziari (17,5%), industriali (17,3%) e tecnologia (15,4%), con contributi diffusi tra banche regionali, biotech e software.
Il miglior titolo dell’anno è Credo Technology, con un rialzo del 156%, che però contribuisce solo per 58 punti base, pari al 5% della performance complessiva dell’indice. Un segnale chiaro: il Russell 2000 cresce grazie a un mosaico di piccole realtà, non al traino di singoli colossi.
Il confronto con l’S&P 500 e la vulnerabilità delle small cap
L’S&P 500, al contrario, rappresenta un indice dominato dalla concentrazione: la tecnologia vale il 33%, i semiconduttori il 13% e i primi dieci titoli controllano il 37% del paniere. Nvidia, con un guadagno del 31% da inizio anno, ha contribuito da sola al 15% della performance totale dell’S&P. Un quadro, secondo Debach, “oligarchico” che contrasta con la natura più “democratica” del Russell.
Le valutazioni riflettono questa diversità. Il Russell quota 27,5 volte gli utili attesi e 1,3 volte le vendite, multipli compressi sui ricavi ma elevati sugli utili, segno di margini fragili. Lo S&P viaggia a 23,3 volte gli utili e 3,4 volte le vendite, mentre il Nasdaq 100 spinge fino a 28,5x e 6,3x, espressione dell’euforia tech.
Negli ultimi anni, la sottoperformance delle small cap è stata accentuata dalla concentrazione dei flussi sugli ETF tecnologici e dalla resilienza delle large cap in un contesto di tassi elevati. Oggi, spiega Debach, il rally del Russell è sostenuto da una rotazione verso settori ciclici come finanziari e industriali, dal rimbalzo delle biotech – favorite anche da nuove approvazioni FDA – e dal ritorno di capitali nei fondi small cap dopo le aperture più accomodanti della Fed.
Un rally da consolidare
La sostenibilità di questa fase dipenderà da variabili precise, secondo Debach. Se i tagli della Fed proseguiranno e la crescita resterà stabile, le small cap avranno lo spazio per continuare la corsa. In caso di soft landing, il nuovo massimo potrebbe trasformarsi in un punto di svolta strutturale. Al contrario, un ritorno dell’inflazione o una stretta monetaria improvvisa rischierebbero di frenare l’indice, data la sua elevata sensibilità al costo del capitale.
Il contrasto resta netto: da una parte un Russell frammentato, domestico, ciclico, vulnerabile ma ricco di potenziale; dall’altra un S&P globale, concentrato e trainato dal tech. Il nuovo massimo del Russell assume così un significato che va oltre il grafico: segnala che il mercato, almeno per ora, torna a guardare anche alla “Street Economy” e non soltanto alla Silicon Valley, conclude Debach.
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