UNICREDIT - Ecco perché è un titolo su cui vale la pena scommettere


Quotazioni di Borsa a sconto rispetto ai competitor. Pochi rimpianti per l’uscita del Ceo Mustier. Il nodo Mps: per invogliare gli azionisti ad acquistare la banca senese il Tesoro sta offrendo condizioni decisamente allettanti. Il ruolo di Del Vecchio.


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Possibile preda nella nuova stagione di M&A fra banche.

Se non ci fosse di mezzo la politica, Unicredit avrebbe le caratteristiche di una possibile “preda” in un settore bancario europeo dove le autorità di controllo sono tornate a spingere per una nuova stagione di M&A (fusioni e acquisizioni). Le preoccupazioni di Madame Lagarde, presidente della Bce, sono di avere un sistema bancario il più efficiente possibile per fare fronte alle emergenze di un’economia che nei prossimi mesi sarà graffiata aspramente dalle conseguenze del Covid, per ora attenuate dalla pioggia di aiuti di Stato. Con i tassi a zero e una prossima valanga di crisi aziendali, tenere sotto controllo i conti delle banche non sarà facile. L’efficienza degli istituti di credito sarà fondamentale, ed efficienza va a braccetto con dimensioni.
“Prima del 2022 ci aspettiamo che in Europa avvengano da quattro a sei operazioni di aggregazione fra banche, di cui probabilmente almeno una transnazionale”, ha detto recentemente a Bloomberg Giorgio Cocini, co-head del mercato Istituzioni finanziarie in Europa di Bank of America. Le aggregazioni fra banche in Europa dopo la grande crisi del 2008 sono avvenute a rilento rispetto a quanto si è visto in Usa, ma il movimento sembra ormai avviato con importanti operazioni in Italia e in Spagna. In Italia Intesa ha acquistato Ubi, Banco Bpm parla di possibile aggregazione con Bper, in Spagna CaixaBank ha annunciato l’acquisizione per 3,8 miliardi di Bankia. In Svizzera si vocifera di una possibile fusione fra i colossi nazionali Ubs e Credit Suisse. In Francia alcuni analisti ipotizzano una fusion fra Société Générale e BnpParibas.

Mustier, meriti e demeriti del manager francese.

Jean-Pierre Mustier, il Ceo uscente di Unicredit, lascia una banca solida dal punto di vista patrimoniale, ma che fa pochi utili. Per questo in Borsa nessuno si strappa i capelli per l’addio del manager francese. Dal 30 novembre scorso, giorno dell’annuncio dell’uscita di Mustier, Unicredit ha perso il 10%, a fronte di un andamento sostanzialmente stabile della concorrente Intesa Sanpaolo. “Credo che sia una reazione emotiva, in realtà sarà difficile rimpiangere Mustier”, dice un operatore. Il merito principale del manager francese, arrivato nel luglio 2016, è stato di riuscire raccogliere 13 miliardi con un aumento di capitale che ha messo al sicuro la solidità patrimoniale del gruppo. Poi ha portato a termine un’ingente campagna di dismissioni vendendo le controllate Fineco, Pioneer, Pekao Bank in Polonia, Yapi Kredi in Turchia e l’8% di Mediobanca (Unicredit era il principale azionista), con un incasso totale di circa 13 miliardi. Inoltre ha ripulito i bilanci da una montagna di NPL (crediti deteriorati).

Dopodiché, però, non si è capito in che direzione la banca avrebbe dovuto svilupparsi. Secondo l’economista Marcello Messori, docente dell’università Luiss intervistato dal sito First Online, “la strategia dell’AD di Unicredit, che si è poi concretizzata nella cessione di tutte le cosiddette ‘fabbriche prodotto’ interne al gruppo e di varie altre attività cruciali anche fuori dall’Italia, ha avuto l’effetto di cancellare le maggiori fonti strutturali di redditività e di indebolire Unicredit nel mercato nazionale rispetto ai concorrenti (prima di tutto Intesa Sanpaolo, che ha effettuato scelte opposte) e di appannarne la presenza in Europa”.

Multipli a sconto rispetto a Intesa.

Il risultato è che oggi Unicredit capitalizza poco più di 18 miliardi di euro contro i 38,2 miliardi di Intesa. Secondo il consensus di 21 analisti, Unicredit chiuderà il bilancio 2020 con una perdita netta di 1,9 miliardi su un margine di intermediazione di 17,6 miliardi. Il 2021 terminerà con ricavi in lieve calo a 17,4 miliardi e un utile netto di 1,9 miliardi. Nonostante queste previsioni positive, il titolo tratta a sconto rispetto ai competitor: il P/E 2021 è di 8,6 contro un P/E di Intesa di 10, il prezzo di Borsa di Unicredit è pari a 0,33 volte il suo tangible book value, contro le 0,72 volte di Intesa.
A fronte di un valore di Borsa di 8,05 euro, gli analisti calcolano che il book value per azione di Unicredit è di oltre 25 euro (3 volte la quotazione). Il book value per azione di Intesa è 3,14 euro, solo 1,6 volte la quotazione in Piazza Affari (1,94 euro).

Sono questi i numeri per cui, come dicevamo all’inizio, Unicredit potrebbe essere una preda appetitosa per una grande banca internazionale. Ma è evidente che il governo italiano farebbe di tutto per ostacolare un’eventuale acquisizione.

MontePaschi: un’occasione o un boccone indigesto?

Nei cinque anni in cui ha guidato Unicredit, Mustier ha costantemente respinto ogni ipotesi di M&A, da ultimo anche quella per cui pressantemente il governo di Roma bussava alla sua porta, ovvero acquistare il derelitto MontePaschi di Siena. In attesa che il board di Unicredit, adiuvato dal cacciatore di teste Spencer & Stuart, selezioni il nuovo Ceo, il Tesoro sta cercando le modalità per rendere l’eventuale acquisizione la più allettante possibile per gli azionisti di Unicredit. A questo proposito ricordiamo che la banca milanese è una public company senza un nocciolo di riferimento. I primi tre azionisti sono tre fondi americani: America Funds Euro Pacific (4,9%), Dodge & Cox (4,9%), Dodge & Cox Funds (3,3%). Solo al quarto posto troviamo la Delfin di Leonardo Del Vecchio con l’1,9%, seguito da Fondazione CariVerona (1,79%) e Fondazione CariTorino (1,6%).

Pare che Del Vecchio e le due fondazioni abbiano fatto sapere che sono contrari all’acquisizione della banca toscana. Secondo indiscrezioni, il Tesoro intenderebbe rilanciare proponendo come incentivo una vantaggiosa pulizia del bilancio di Unicredit, che potrebbe cedere ad Amco, la società del Tesoro specializzata in crediti deteriorati, la quasi totalità dei suoi Npe, ovvero circa 20 miliardi di euro su 22 miliardi registrati alla fine del terzo trimestre del 2020, di cui 10 miliardi di Npl e 12 miliardi di Unlikely to pay. Secondo il quotidiano Il Messaggero, l’operazione potrebbe avvenire a breve. Se l'indiscrezione fosse confermata, il nuovo gruppo bancario Unicredit-Mps avrebbe una Npe ratio pro-forma di appena 1%, calcolano gli analisti di Equita Sim. Ma a che prezzo Unicredit potrebbe cedere i suoi crediti deteriorati? Se la transazione avvenisse dal 30% in su del valore di libro dei crediti in sofferenza, sarebbe un risultato ottimo per il bilancio del gruppo milanese. Ma sarebbe un prezzo così alto che alcuni analisti temono che Bce e Antitrust Ue possano mettere un veto configurando il deal come un aiuto di Stato.

La cessione dei crediti in sofferenza, combinata al rafforzamento patrimoniale da 2,5 miliardi che dovrà affrontare a breve MontePaschi e la conversione di 2,5 miliardi di Dta in crediti fiscali sempre da parte della banca senese, “aumenterebbe in maniera significativa le probabilità dell'acquisizione di Mps da parte di Unicredit”, ha scritto nei giorni scorsi Equita Sim.

Insomma, se non ci fosse la politica Unicredit da sola oggi sarebbe un bel bocconcino. Al tempo stesso, però, la politica per fare ingoiare a Unicredit il MontePaschi deve riuscire a rendere la pillola davvero attraente. Ecco perché pensiamo che oggi gli azionisti MontePaschi si trovino in una situazione confortevole, qualunque sia il nuovo manager che verrà scelto per guidare la banca

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