Eni, olio vegetale dal Kenya per procedere sulla strada della decarbonizzazione

La società ha annunciato l’avvio della produzione di olio nel paese africano, parte della strategia di decarbonizzazione dei trasporti, esperienza destinata ad allargarsi anche ad altre nazioni del continente.

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Parte il cargo dal Kenya

Partito dal porto di Mombasa e diretto alla bioraffineria di Gela il primo cargo di olio vegetale per la bioraffinazione prodotto da Eni in Kenya.

La società guidata da Claudio Descalzi ha annunciato così l’avvio della produzione di olio nel paese africano, destinata a passare dalle 2.500 tonnellate entro il 2022 alle 20 mila tonnellate alla fine del prossimo anno.

L’olio è prodotto nell’agri-hub attivo nella regione di Makueni, nell’impianto inaugurato a luglio 2022, dove avviene la spremitura di sementi di ricino, di croton e di cotone.

“A soli tre mesi dallo startup di Makueni inizia l'export di olio vegetale per le bioraffinerie, attraverso un modello di integrazione verticale che consente di promuovere uno sviluppo locale sostenibile e di valorizzare la filiera per la produzione di biocarburanti”, sottolinea Descalzi.

La strategia

Si tratta dei “semi di una nuova energia, un passo concreto per decarbonizzare i trasporti con un approccio innovativo che a partire dalla produzione del Kenya si estenderà l'anno prossimo al Congo, e successivamente agli altri Paesi africani e alle aree geografiche in cui stiamo portando avanti questi progetti”, continuava Descalzi.

Eni punta a coprire il 35% dell’approvvigionamento delle proprie bioraffinerie grazie all’integrazione verticale della filiera degli agri-feedstock e waste&residue entro il 2025, assicurandosi così importanti volumi di olio vegetale nonostante il contesto sfidante in termini di prezzi, domanda crescente di energia e disponibilità di oli sostenibili.

Dopo il Kenya, definito dall’azienda “apripista” per le proprie iniziative nella catena agro-industriale, sono stati avviati studi di fattibilità per il Congo, Mozambico, Angola, Costa d’Avorio, Benin, Ruanda e Kazakistan, con l’obiettivo di “condurre nelle realtà più mature una prima fase di attività agricola a partire dal 2022, per poi procedere con la costruzione di impianti di spremitura di semi per la bioraffinazione”, spiegano dalla società.

Nuovo gas dall’Algeria

Un altro importante annuncio per Eni era stato fatto nella giornata di ieri, quando la società comunicava in una nota l’avvio della produzione da due campi a gas relativi al contratto di Berkine Sud, in Algeria, dove è presente dal 1981 ed è attualmente la principale compagnia energetica internazionale operante nel paese.

La partenza arriva a soli dei mesi dall’assegnazione del contratto, grazie ad uno sviluppo accelerato (fast track) e permette la produzione di 1 milione di metri cubi al giorno di gas (MSm3/d) circa e 4 mila barili al giorno di liquidi associati.

Da Eni prevedono di portare la produzione a circa 2 MSm3/d entro l’anno, arrivando a saturare la capacità di trattamento di gas dell’impianto di MLE, pari a 11 MSm3/d.

L’annuncio di ieri si aggiungeva a quello arrivato lo scorso settembre di un accordo per l’acquisizione delle attività di BP in Algeria, portando così la produzione di Eni prevista nel paese ad attestarsi a oltre 120 mila barili di olio equivalente al giorno nel 2023.

Il ruolo dell’Algeria

L’importanza dell’Algeria nella strategia di Eni e dell’Italia è stata sottolineata da Descalzi nel corso di un’intervista rilasciata nel corso del Green Talk di RCS Academy.

Il manager ha definito il paese magrebino “il punto fondamentale” nella diversificazione via tubo per il gas, visto l’aumentare della quantità di energia che, dopo la messa in funzione dei due campi annunciata ieri, passa dai “10 miliardi di metri di metri cubi del 2019 ai 24 del 2022”, per arrivare “poi” a 27 miliardi di metri cubi.

Il gas algerino “vale il 35%” della disponibilità di gas ma “può arrivare al 38%”, considerando che prima valeva il 12%, portandosi così vicino alla quota di quello russo: “siamo vicini, paragonabili”, sottolineava Descalzi.

A questo punto, concludeva Descalzi, “dobbiamo riuscire a portare LNG” ma “c’è bisogno di rigassificatori”, in particolare riferendosi a quello di Piombino, al centro recentemente di polemiche e contrarietà degli abitanti locali, “altrimenti il bilancio non torna: nel 2023-2024 rischiamo di restare sotto di 5 miliardi”.

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